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  • Research - Gli effetti dell'eccesso di regolamentazione sull'occupazione

    Anche nei Paesi tradizionalmente caratterizzati da un’economia di mercato, la regolamentazione economica è considerata una componente necessaria. Soltanto nella teoria è possibile ipotizzare mercati in cui la libera azione degli agenti economici porta all’equilibrio perfetto, quello dove non c’è spazio per potere di mercato nocivo al benessere dei cittadini-consumatori. L’attributo “perfetto” non appartiene al lessico della vita reale ed un intervento pubblico è richiesto quando il mercato fallisce nel suo obiettivo teorico, e quindi tipicamente per erogare o preservare beni pubblici (difesa e ambiente), oppure per controllare ex-ante o ex-post imprese con rilevante potere di mercato se non monopoliste (regolamentazione dei monopoli naturali da parte delle autorità o interventi sanzionatori da parte dell’Antitrust). Tuttavia, quando l’intervento pubblico cresce oltre un livello minimo, si assiste ad una erosione della libertà e la prima libertà ad essere colpita è quella economica. Ogni attività da parte di un’autorità pubblica ha infatti un costo economico che deve essere finanziato dai cittadini e inoltre anche l’attività di governo ha i suoi “fallimenti”. Secondo George J. Stigler (1971) per esempio, la cattura avviene quando chi ha un elevato interesse per i risultati della regolamentazione può allocare risorse nel tentativo di influenzare le decisioni pubbliche (la legittima attività di lobby). L’impatto delle stesse decisioni sulla collettività non mobilità, però, pari entità di risorse a fronte di un interesse frammentato tra la moltitudine di cittadini. La regolamentazione pubblica potrebbe quindi risultare inefficiente o portare a una riduzione complessiva del benessere per la collettività. È quindi possibile affermare che esiste un livello fisiologico di regolamentazione, per risolvere i naturali fallimenti di mercato, oltre il quale l’intervento diventa patologico con costi superiori ai benefici. L’obiettivo del presente articolo è valutare come la regolamentazione patologica sia legata all’occupazione, variabile-chiave delle politiche economiche dei governi nazionali e dell’Unione Europea (UE) dopo il vertice che ha lanciato la Strategia di Lisbona per la competitività. Se consideriamo la libertà economica come assenza di regolamentazione patologica, possiamo esaminare la correlazione tra l’Index of Economic Freedom (IEF) pubblicato da Heritage Foundation e il tasso di occupazione di Eurostat per un campione di 10 paesi: Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna, Polonia, Paesi Bassi, Grecia, Portogallo e Stati Uniti. Utilizzando il punteggio IEF ottenuto dai Paesi nel 2008 (che si riferisce all’anno 2007) e il rispettivo tasso di occupazione nel 2007, si evidenzia una forte correlazione. Tale evidenza statistica non implica tuttavia una relazione causa-effetto. Se analizziamo come le due variabili considerate si comportano a livello di singolo Paese dal 1995 ad oggi emerge una decisa omogeneità nell’andamento ma con una minore volatilità del tasso di occupazione rispetto all’IEF. Le imprese e i lavoratori, infatti, hanno bisogno di adattarsi alle nuove politiche introdotte dai governi, i cui interventi sono invece immediatamente registrati dall’IEF al momento della loro entrata in vigore. Il comportamento delle imprese e dei lavoratori dipende soprattutto da un tipo di regolamentazione specifica, quella del mercato del lavoro. Su questo fronte un intervento è necessario affinché vi sia una contrattazione efficiente tra imprenditori e lavoratori nonché per proteggere questi ultimi da discriminazioni o trattamenti ingiusti. Poiché nell’UE la regolamentazione del mercato del lavoro rimane sostanzialmente nella sovranità degli Stati Membri, non ci deve stupire nel trovare un Paese altamente competitivo come la Germania, 25esimo (su 181 Paesi) nella classifica “Doing Business” della Banca Mondiale, al 142esimo posto per assunzione dei lavoratori, mentre i Paesi Bassi sono un po’ meno competitivi con un mercato del lavoro meno rigido. Per il nostro Paese, nonostante le modifiche normative intervenute negli ultimi anni per rendere il lavoro più flessibile, la competitività rimane soffocata da una burocrazia e da un sistema giudiziario i cui tempi di azione sono inefficienti. I governi di tutto il mondo affrontano la costante sfida di trovare il giusto equilibrio tra protezione dei lavoratori e flessibilità del mercato del lavoro, ma la ricetta perfetta non esiste e la flexicurity europea rimane un neologismo che nasconde una forte eterogeneità tra i Paesi dell’UE e un risultato poco brillante della Strategia di Lisbona. Nelle parole della Commissione europea, la “flessicurezza” è una strategia che combina una sufficiente flessibilità nei dispositivi contrattuali – per consentire alle imprese e ai lavoratori di affrontare il cambiamento – e la sicurezza per i lavoratori di mantenere il loro posto di lavoro o di essere in grado di trovarne uno nuovo in tempi brevi oltre all’assicurazione di un reddito adeguato nei periodi di transizione tra due lavori. Secondo la Banca Mondiale, mentre la regolamentazione del lavoro in genere porta a un incremento del livello dei salari dei lavoratori, un eccesso della stessa può avere effetti indesiderabili. Tra questi una minor creazione di posti di lavoro, imprese più piccole, minori investimenti in ricerca e sviluppo, un allungamento dei periodi di disoccupazione dei lavoratori con il rischio di rendere obsolete le competenze acquisite dagli stessi; tutto ciò ha ovvie ripercussioni sulla crescita della produttività. Stefano Riela

  • Seminario-Government output and productivity measurement: lessons from the international experience

    Presso il Dipartimento della Funzione Pubblica (Palazzo Vidoni, Roma) il 23 e il 24 aprile si è svolto il meeting internazionale sulla misurazione dell’output e della produttività del sistema pubblico. In molti paesi OCSE è cresciuto negli ultimi anni l’interesse per la misurazione dei servizi erogati dallo Stato. Questo anche in considerazione delle tendenze che hanno interessato il sistema pubblico: nuove politiche tese ad incrementare la produttività dei servizi, vincoli di bilancio, cambiamenti istituzionali (sviluppo in molti settori di sistemi di governance multilivello e aumento dei servizi offerti dal settore privato), oltre alle opportunità aperte dalle nuove tecnologie. La volontà di implementare azioni concrete per migliorare la qualità del sistema pubblico ha quindi portato a nuovi sviluppi nei sistemi di misurazione dei servizi erogati. Durante il workshop sono state evidenziate le esperienze di alcuni Paesi europei nella misurazione dell’output del sistema pubblico, sottolineando come ulteriori sviluppi in questa attività possano derivare dal confronto internazionale. Il workshop ha inoltre consentito di disegnare un quadro dello stato attuale dei sistemi di misurazione dell’output a livello europeo focalizzandosi sulla necessità di sostenere un processo di revisione degli stessi concentrato sulla misurazione dei servizi che non posseggono un corrispettivo di mercato (non-market activities) e ampliando l’utilizzo del sistema di misurazione diretta dell’output.

  • EIN/FAES Seminar - Energy + Environment: new options - Madrid

    A FAES and EIN seminar will take place in Madrid on 30 March 2009. Here will be two sessions. The first will consider the future of the Nuclear Energy in Europe whilst the second will examine the topic of ‘Greening the Economy’. Speakers will include: Bonifacio Garcia Porras, European Commission, DG Energy on “Nuclear energy and the future of the energy mix in Europe: a policy approach”; Philippe Brongniart, Ancien membre du directoire de la Fondation pour l’Innovation politique on “The Nuclear Industry”; Dr. Marie-Francoise Praml-Bode, Unternehmenberatung, Düsseldorf on “The Nuclear debate in Germany”; Prof. Gabriel Calzada, Economist, Professor, Rey Juan Carlos University on “A Green economy: what does it mean?”; Jesse Scott, Europe in the World Programme Leader, E3G (Third Generation Environmentalism), Brussels; Research Fellow, European University Institute, Florence; Dr. Jean-Paul Maréchal, Economist; l’Université Rennes 2, Haute Bretagne on “Environmental economics: what about its social cost ?”; David Winston, Winston Group (Washington) on “Assessing the new Administration’s policy and projects in the field of the green economy”; Prof. Jean Didier Vincent, Biologist; Member of the French Academies of Sciences of France and Belgium on “Adjusting to environmental change”.

  • News - Elezioni e asimmetrie informative

    Nell’articolo di Christopher H. Achen e Larry M. Bartels “Ignorance and Bliss in Democratic Politics: Party Competition with Uninformed Voters” si afferma che secondo il modello sviluppato con due partiti che competono (rappresentati da un’unica posizione “forte” in uno spazio ideologico uni-dimensionale) e cittadini ignoranti su quello che è stato realizzato dal partito precedente, le proposte del partito di opposizione, e senza alcuna dimensione ideologica (I cittadini elettori sanno soltanto se l’esperienza passata con ciascun partito è stata positiva o negativa,e votano di conseguenza), il partito di governo cercherà di implementare politiche per l’interesse dell’elettore mediano. Quindi la concorrenza democratica può produrre politiche nell’interesse dei cittadini anche se questi non osservano le scelte dei partiti. Dall’altro lato, secondo alcune esperienze storiche, i sistemi democratici hanno espresso politiche non rappresentative degli interessi per alternative al governo che sono state screditate dalle performance passate.

  • Incontro con Ettore Gotti Tedeschi

    Economia e demografia al centro dell’intervento tenuto dal Prof. Ettore Gotti Tedeschi, presso Fondazione ResPublica sul tema “Possibili soluzioni della crisi economica”. Dalla crisi della natalità che ha colpito l’Italia alle difficoltà di ricreare un tessuto economico e sociale capace di creare sviluppo, il prof. Gotti Tedeschi ha illustrato le possibili soluzioni per uscire dal momento di crisi che attraversa il Paese.

  • Incontro con Marzio Agnoloni

    Si è tenuto lo scorso 23 aprile l’incontro con Marzio Agnoloni, Amministratore Delegato di Pedemontana Lombarda, sul tema “Pedemontana: presente e futuro”. L’incontro è stata l’occasione per presentare ai presenti il progetto Pedemontana, lo stato di avanzamento dell’opera e le potenzialità future.

  • Lectio Magistralis di Giulio Tremonti alla Scuola Giovanile Estiva di Forza Italia

    1. Questa “lezione” sarà divisa in 2 parti: prima, la mia parte; poi, la vostra parte, fatta dalle vostre domande. E’ così che questa lezione si trasformerà, da lezione, in dialogo. 2. In ogni caso: non farò una “lezione – comizio”; non sarò assertivo, dogmatico, categorico. Piuttosto sarò “critico”, nel senso greco del termine. Farò ipotesi, darò spazio anche alle incertezze ed alle criticità. 3. Fare una lezione sulla politica è comunque un esercizio non usuale e non facile. Di solito è l’opposto: non sei tu che fai lezioni sulla politica, ma è la politica che ti dà lezioni. E te le da con le delusioni, le lezioni migliori, piuttosto che con le premiazioni. 4. Il primo pensiero politico organizzato è stato espresso da Platone nella Repubblica. La politica è “technè”. È anzi la forma superiore della “technè”: “E technè politikè”. L’immagine usata per la politica da Platone è quella del timone come strumento di governo della nave. Una tecnica la politica, che è la più complicata perché devi insieme conoscere la nave e l’equipaggio, la superficie del mare, i fondali, le stelle. 5. Non è forse un caso, se il luogo informatico di un importante ministro in carica evoca “Palinuro”. Palinuro. Il mitico nocchiero di Enea. Caduto in mare per l’effetto combinato del sonno e di uno scoglio, per cui nell’Eneide si legge: “… al vacillar del suo legno s’accorse che di guida era scemo e di timone…”. Essere “tecnico” è una cosa. Ma la “technè” è un’altra cosa. 6. Torniamo alla “navigazione” come arte. Le carte geografiche non sono più eurocentriche. Le nuove carte geografiche hanno infatti per centro l’America. Le prossime forse avranno per centro l’Asia. La bussola – l’intelligenza e la coscienza – è forse ancora la stessa. Ma gli spazi si sono estesi, le rotte sono cambiate. 7. E, se la realtà cambia, la politica non può restare uguale. Se la politica pensa di poter restare uguale, mentre cambia la realtà, ad un certo punto è la realtà che cambia la politica. 8. Cosa voglio dire? Che la carta politica che abbiamo davanti è cambiata, come per effetto di una rivoluzione. Che viviamo un tempo non banale, non normale. Un mondo in cui l’apparenza è ancora – per ora – quella di vivere a velocità costante, quasi in un noioso continuum esistenziale. Ma la sostanza delle mutazioni in atto è rivoluzionaria. E’ stato così altre volte nella storia. E’ stato così al principio del ‘500, con l’apertura degli spazi atlantici e con la conseguente rottura dell’antico ordine europeo. Quando il mondo diventa “mundus furiosus”. E’ stato così al principio dell’‘800. Il 18 settembre 1806, dopo la Rivoluzione francese, durante l’età di Napoleone, nella Fenomenologia dello spirito Hegel scrive di un “sentimento di ignoto… L’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbiamo avuto finora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come un’immagine di sogno”. E’ così di nuovo ora, al principio di questo secolo. Un brevissimo flash-back. Nel luglio 1989, anno bicentenario della Rivoluzione francese, ho scritto sul Corriere della Sera un articolo che provo a sintetizzare come segue: si è spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza. Prima lo Stato controllava il territorio e con questo la ricchezza (che stava infissa sul territorio: agraria, mineraria, paleo- o protoindustriale) e per questo aveva il monopolio della politica (batteva moneta, levava le tasse, faceva la giustizia). La globalizzazione avrebbe invece (si era solo nel 1989…) dematerializzato ed internazionalizzato la ricchezza, così erodendo le basi del vecchio potere politico nazionale. Così, mentre il primo ’89 era stato l’anno di avvio di rivoluzioni “parlamentari” (la costruzione politica dello Stato nazione), il secondo ’89 sarebbe invece stato anno di avvio del processo contrario. Sulla storia a seguire, qui mi permetto poi di rinviare a due miei libri: Il fantasma della povertà, Mondadori, 1995; Rischi fatali, Mondadori, 2005. 9. Cosa voglio dire di più? Entrando in un mondo nuovo, diffidate delle vecchie carte geografiche. Diffidate delle vecchie formule politiche, dei vecchi schemi culturali, dei vecchi luoghi mentali, delle vecchie parole-chiave. Incluse anche quelle più recenti. 10. E’ infatti certo vero che il nuovo mondo, unico e globalizzato, ha prodotto un suo proprio tipo di pensiero nuovo, il pensiero unico. Ma è anche certo vero che questo a sua volta è stato un prodotto effimero. E’ durato solo un decennio. La sequenza “mercato unico – mondo unico – uomo a taglia unica” ha in specie espresso un prodotto a veloce consumazione. A questo specifico proposito, sul mercatismo come sintesi inefficiente di liberalismo e comunismo, rinvio ancora al libro Rischi fatali, citato sopra. 11. Che formula, che metodo politico possiamo dunque usare nel tempo presente? Una prima determinazione. Nel governo ordinario, in specie nel dominio economico, la formula prevalente, dominante, non è e non sarà più una formula ideologica. Ma piuttosto una formula empirica. Una formula come questa: “Market if possible, government if necessary”. E’ questa una formula politica di tipo non universale, ma all’opposto, per definizione, di tipo particolare. Una formula che mira a soluzioni ad hoc, basate sull’equilibrio dinamico tra princìpi diversi e tra di loro potenzialmente opposti. E’ questo precisamente il tipo di politica che si è preso a fare nella Francia di Sarkozy. Per inciso: ricordate da noi, negli anni scorsi, le polemiche sul “colbertismo”? Un esempio attuale (potenziale) per l’applicazione di questa politica in Italia. Per la sinistra, il futuro di “Poste italiane S.p.A.” è quello di diventare una nuova grande banca privatizzata. Per noi no. L’Italia ha infatti bisogno di tutto, tranne che di una nuova banca. Piuttosto, gli italiani – i deboli, gli anziani, gli italiani che vivono in ottomila Comuni sparsi sul territorio – hanno bisogno di un diverso disegno del Welfare State. Non i cittadini che vanno nelle strutture pubbliche. Ma le “Poste italiane” che vanno a casa loro, portando l’infermiere, prendendo le prenotazioni per evitare le code agli anziani, portando le medicine, etc. Le nostre Poste, con più di 14.000 uffici, più di 50.000 veicoli, più di 150.000 addetti, possono farlo. Non è abbastanza di mercato? Forse. Ma è giusto provarci. Ed è per questo che è una delle nostre proposte di legge, per rendere più dignitosa la vita degli italiani. 12. E tuttavia non basta dire “market if possible, government if necessary”. Per una ragione molto semplice. Perché la realtà non è fatta solo dall’economia. Perché la politica non si identifica più con l’economia. E’ sembrato (e stato?) così nel ‘900. A partire dalla profezia di Rathenau: la politica è nell’economia. La profezia si è in parte avverata dentro le economie di mercato. Anche il comunismo è stata in parte prevalente una ideologica economica. Il mercatismo si è infine presentato come la forma nuova del materialismo storico. Ma ora, a questa altezza di tempo, possiamo dire che non è più così e che non può essere più così. L’economia è importante, ma la politica è una cosa diversa. 13. La politica vive e/o rivive dunque, ma su di un quadrante diverso. E di riflesso la differenza tra sinistra e destra resta, perché la grande dividente non è più sul modello economico ma sulla visione, sul disegno, sulla struttura della società. La realtà è più vasta, più complessa, più forte ed anche per questo reagisce all’economia. La realtà non è nell’economia. La realtà non è a dimensione unica. L’essenza della realtà è nella società ed è qui che nella dialettica storica tra destra e sinistra continua la politica. 14. Certo, l’economia resta importante. Ed è anche (ancora) sull’economia, ed in specie sulle tasse, che si vincono o si perdono le elezioni (soprattutto se a fare la differenza c’è un governo come il Governo Prodi). Certo è sull’economia che ancora si manifestano, ed anche forti, differenze politiche: a) cresce, tendenzialmente con i governi di sinistra, la pressione fiscale. E questo determina e marca differenziali di posizione, tra chi è a favore e chi è contro; b) persiste poi a sinistra una ideologica “fiscale” e giacobina, totalitaria ed odiosa. In sintesi, l’idea che la vita può, deve essere contenuta, schematizzata e dichiarata in un “modello unico”. Ma tutti comunque, nell’Europa continentale, tanto a destra quanto a sinistra, accettano in termini generali un unico modello economico, l’economia “di mercato”. Ovvero: non propongono modelli alternativi. Esclusi solo i modelli onirici o messianici, tipo “rifondazione comunista”. Non per caso, ma pour cause, sono possibili in Europa, e qui stanno anzi diventando la formula politica prevalente, le grandi coalizioni. Una formula politica questa che è essenzialmente determinata da cause economiche e per questo è basata proprio su comuni agende economiche. In ogni caso e proprio per questo, per essere essenzialmente strutturate sulla base di “agende” economiche, le grandi coalizioni non anticipano e non determinano la fine della politica. Non sono la post-politica. 15. Infatti è fuori dal dominio dell’economia, non tanto nel dominio fiscale quanto nel dominio spirituale, che ancora si sviluppa la dinamica politica. Ed è qui, su questo quadrante della mappa, che la politica prosegue. Prosegue nello sviluppo e nel confronto tra due diverse visioni della società. Semplicemente, il vettore della storia ha ripreso a muoversi, dall’economia alla società, dal materiale allo spirituale. Non è la fine del mercato. Ma è la fine dell’idea che il mercato possa essere la matrice totalizzante esistenziale, la base di un nuovo materialismo storico. Il mercato è una parte, non è il tutto 16. La nuova partita è iniziata in Europa con il dibattito sulle radici giudaico-cristiane: se inserirle – o no – nella nuova tentativa bozza costituzionale europea. La prima, ed in qualche modo superficiale o parziale, interpretazione ha trattato questa partita come una partita tra Parigi e Roma. Tra Parigi, luogo tutelare dei “lumi”, e Roma, centro storico e spirituale. L’interpretazione più vasta e più profonda pare invece essere un’altra: non una partita tra Parigi e Roma, ma tra Londra e Roma. Al fondo, la lotta tra due visioni della società. Londra come base di irradiazione di una visione della società che, banalizzandosi nei consumi e di riflesso nei costumi, si identifica ed appiattisce sull’economia (l’idea dell’europa-mercato). All’opposto, l’idea dell’Europa-politica. Frutto della sua storia passata e proiettata nella storia a venire proprio perché costruita come qualcosa di diverso e più alto rispetto alla geografia piana tipica di un’area di libero scambio + alcune autorità di regolamentazione del traffico. La partita è ancora aperta. Qui mi permetto di rinviare ad un mio articolo sulla dialettica storica tra queste due visioni della società, pubblicato sul Giornale nel 1999 sotto il titolo “Questa Chiesa ha un grande futuro politico”. 17. Andando avanti nell’analisi, è in specie proprio nell’alternativa strategica tra queste due visioni che si vede come la sinistra perde colpi e perde quota storica: dai pregiudizi su legge ed ordine al disegno della società nell’età dell’immigrazione, dai principi della vita ai limiti della ricerca scientifica. E su molto altro. 18. Perché la sinistra post-moderna perde quota, tanto sul piano dell’economia (con l’accettazione neofita ed enfatica del mercatismo), quanto e soprattutto e decisivamente sul piano del modello sociale? Perché i vettori della modernità si sono rovesciati? Perché, dopo quasi due secoli, la sinistra non è più il progresso e perché il progresso non è più a sinistra? Perché, per la prima volta nella sua storia, la sinistra non è più proietta verso il futuro, ma impigliata nel passato? Perchè la sinistra ci si presenta come un albero con le radici rovesciate, come un albero che cresce all’inverso, dall’alto verso il basso? 19. La risposta a queste domande si trova a sua volta rispondendo ad una domanda di fondo: cosa è successo alla sinistra? Per capirlo basta: – prima identificare le categorie-base storicamente proprie della sinistra; – poi verificare che queste sono contemporaneamente entrate in crisi, proprio con la “modernità”, prima evocata e poi spinta dalla globalizzazione. Con l’apporto decisivo e paradossalmente suicida proprio della sinistra stessa. Nei termini che seguono: a) basta guardare alle mutazioni intervenute nei processi produttivi, basta guardare un personal computer, per capire che la vita non è più massa, non è più collettivo, non è più grandi numeri; b) la ragione non fornisce più spiegazioni totalizzanti offerte nella forma della progressiva illuminazione. Lo sviluppo scientifico non è tutto positivo e tutto lineare. Per la prima volta nella storia, ciò che è possibile tecnicamente, non è detto che sia anche lecito moralmente; c) lo Stato nazionale (il container ed insieme l’hardware della ideologia di sinistra applicata alla società) è in crisi storica di potere, proprio per effetto della globalizzazione che ne ha eroso le basi; d) è in specie finita l’età del debito pubblico usato come leva sociale di transfert dall’alto verso il basso. E’ così che la sinistra non può essere più identificata con la sua essenza di politica sociale: con la spesa pubblica fatta a debito. 20. Questo deficit politico, culturale, spirituale non può essere colmato dalla politica post-moderna. Non può essere colmato dal pensiero debole, dal populismo leggero, dal relativismo, dal sincretismo, dal veltronismo. Il veltronismo si limita infatti a frullare, confondere ed infine a sublimare materiali eterogenei. Il veltronismo si prende tutto, usa tutto, diventa tutto. Nelson Mandela e Kennedy, Alcide De Gasperi ed i Procul Harum. Il veltronismo è la versione politica del “Truman show”. Lo show in cui tutto è falso. Ciò che è vero nel veltronismo è solo una foresta di contraddizioni. Veltroni va solo un po’ più avanti, rispetto al “Truman Show”, perché alla tecnica scenica aggiunge una tecnica retorica. Identificando e combinando relativamente verità ed utilità. Non è vero ciò che è vero. Non è falso ciò che è falso. E’ vero solo ciò che è utile per la propaganda. Un esempio: Veltroni attacca la democrazia che non decide. La democrazia che non decide sui trafori o sulla spazzatura. Bene. Ma è bravo solo a vedere gli effetti e non le cause dei fenomeni sociali che denuncia. Le cause del blocco e dello stallo politico sono infatti proprio nella democrazia dal basso, nella democrazia permanente, nella democrazia dei sindacati universali e dei comitati territoriali, in sintesi nella democrazia del ’68. Veltroni tratta tutto, ma non questo. Per una ragione molto semplice. Perché non può. Perché la matrice, la madre di questo tipo di democrazia, della democrazia in cui gli aggettivi ed i predicati cancellano il sostantivo (democrazia) è proprio la sinistra che lo ha espresso, che lo sostiene, che lui stesso dice di essere. In Veltroni c’è una sola variante, rispetto alla sinistra di base. Ed è una variante leggermente degenerativa. La vecchia sinistra parlava di bisogni. La nuova supera questa frontiera, passando dai bisogni ai desideri. In questa nuova prospettiva politica, non è necessario garantire qualcosa, è sufficiente promettere tutto. Il veltronismo è il riformismo gratuito: il mio impegno è il vostro desiderio. Con il ’68 la sinistra ha “spogliato gli altari”. E, come si dice, se non credi più a niente, finisci per credere a qualsiasi cosa. E’ per questo che sono comparse parole nuove, come consumatore, come fitness (le palestre detassate in nome dell’impegno sociale a dimagrire, pianificato dal Ministro Turco), come dressing (la nuova politica etico-ambientale di liberare i pubblici impiegati da un vincolo disciplinare che per la verità non c’è mai stato: il vincolo della cravatta). E’ il ’68 aggiornato. Ed è proprio dal ’68 in poi che sono invece scomparse dal vocabolario della sinistra, come se fossero state sbianchettate, le parole autorità e responsabilità, morale e dovere. Ed è proprio qui, nella progressiva decivilizzazione prodotta dal relativismo, che stanno insieme il vero marcatore e la dividente, tra sinistra e destra. Tra la sinistra che è. E la destra che vogliamo e che dobbiamo saper essere. 21. All’opposto userò 5 vecchie parole. E ne parlerò qui di seguito: Autorità Responsabilità Valore Identità Ordine (Legge & Ordine) A) Autorità E’ scomparsa l’autorità. Il ’68 ha infatti portato con sé la morte dell’autorità. Noi invece vogliamo più autorità nella vita pubblica. Non si può abrogare per legge il ’68. Ma molto si può fare anche per legge. Un esempio. Per principio, i pubblici uffici non sono al servizio degli impiegati che ci lavorano, ma dei cittadini per cui gli uffici devono lavorare. Siccome pare che le cose non vadano proprio così, l’idea della sinistra è stata una idea tipica della sinistra: istituire una “Autorità” contro i fannulloni. Tipica della sinistra, nei termini che seguono. C’è un problema? Facciamo una legge. Ma non una legge che supera il problema. Una legge che lo aggira. Salvo infine a scoprire che ci sono i fannulloni anche dentro gli uffici dell’Autorità contro i fannulloni. Noi faremo invece una legge che ristabilisce nei pubblici uffici le antiche linee verticali di gerarchia e di autorità. B) Responsabilità C’è una certa differenza tra il “siediti ed aspetta” e l’”alzati e cammina”. E’ quello che va fatto e che gli italiani si aspettano sia fatto. La prova? E’ nella sorpresa (!) del “5×1000”. Proposto da noi e scelto da 16 milioni di italiani. Su questa traccia proporremo, a fianco del “vecchio”, un nuovo aggiuntivo “5×1000” per l’ambiente. Ancora: riapriremo, quanto meno per capire se sono utili o no, il dibattito sulle mutue sociali che, in aggiunta al Welfare-State, hanno in Europa già più di 120 milioni di iscritti. Non sono, tutte queste, idee di sinistra. Infatti, per la sinistra tutto è statale e perciò tutto è legale. Assolto il dovere fiscale, sei liberato dai doveri sociali. Dagli antichi doveri verso te stesso, verso la tua famiglia, verso la tua comunità. Per la sinistra tutta la società si identifica infatti verso l’alto, con lo Stato. La sua visione è totale e verticale. Il disegno sociale è quello rigido, tecnico, tipico di un grande vecchio “mainframe computer”. All’opposto, il nostro disegno politico riflette la struttura reale ed attuale della società in cui viviamo e per questo non è solo verticale, è anche orizzontale, flessibile, federale nel senso radicale del “foedus”. In questi termini è un disegno che segue il tracciato di “internet”. La nostra visione non è nel dictum tatcheriano, dialetticamente opposto allo statalismo della sinistra: “Non esiste la società, esistono solo gli individui”. Per noi è l’opposto dei due opposti. Non solo esistono gli individui. Non solo esiste lo Stato. Esistono anche nell’intermedio, le famiglie e le comunità. La formula politica nuova ed unificante è proprio in questa dimensione. Una visione che è insieme vecchissima e nuovissima. Che è insieme sociale e morale. In una parola è nel senso politico generale proprio della parola responsabilità. Il problema non è più e/o solo un problema di quantità, ma piuttosto e soprattutto di qualità e di reale efficacia dei servizi pubblici. Quello che c’è ora è infatti un mondo in cui la complessità strutturale va molto oltre la semplicità tipica del primo assistenzialismo, consistente nella semplice fornitura in refettorio della scodella di latte, del posto letto in ospedale, del banco a scuola. Nel mondo attuale il problema politico reale non è più o non è solo quello di portare una massa di cittadini, calcolata in percentuale sul totale, ad un dato standard di prestazioni. Ma di procedurre e gestire un nuovo tipo di meccanismo sociale, verificandone l’efficacia, non tanto sull’astratto dei grandi numeri, quanto sul concreto dei singoli casi di intervento. Casi che non si indifferenziano più nell’universo dei grandi numeri, ma conservano e fanno sempre più emergere la loro propria specificità. E possono dunque essere analizzati e trattati solo in questa dimensione. In questi termini, la soluzione non è, e non può più essere, solo nella pura continuazione e/o intensificazione dei meccanismi classici di intervento “di massa” e “dall’alto verso il basso”. La soluzione è invece, e può essere piuttosto concretizzata con un movimento diverso. Con un movimento doppio. Non solo dall’alto verso il basso. Ma anche e simmetricamente e soprattutto dal basso verso l’alto. La soluzione – la sfida – non è infatti smontare il vecchio Welfare-State. Ma costruirne uno diverso. E di farlo essenzialmente passando dalla massa alla persona. Costruire un Welfare-State nuovo, intermedio tra lo Stato troppo “monolitico” e “gerarchico”, e la persona, che non può essere vista da sola e lasciata da sola. Con una specifica preliminare, a questo proposito. Si fa qui indifferentemente riferimento all’individuo (idea laica) o alla persona (idea religiosa). Ma comunque resta ferma, alla base, la dimensione morale e spirituale propria della nuova visione politica. Non puramente compassionevole – come nella vecchia tradizione puramente caritatevole – ma appunto “responsabile”. Responsabilità verso se stessi, verso la propria famiglia, verso la propria comunità. Responsabilità verso il passato (gli anziani), verso il presente e verso il futuro. E’ in questa strategia di riforma politica che viene in evidenza il ruolo essenziale delle strutture comunitarie. Il modello sociale socialista trova la sua massima espressione nel “trasferimento” pubblico dall’alto verso il basso. E con questo abdica alla responsabilità. Aliena la persona, spingendola verso l’astrazione dello Stato provvidenziale. Il nostro modello sociale è nuovo ed alternativo proprio perché assume una forte e nuova caratterizzazione, insieme personale e comunitaria. La politica fiscale e federale ne sono tratte come logici corollari. Gli effetti positivi della riduzione fiscale non servono solo per rilanciare l’economia, ma anche per finanziare i servizi sociali. E’ anche il federalismo, realizzato con la devoluzione di una ampia quota di poteri politici amministrativi e fiscali. C) Valori Il nostro problema non è creare, come in un progetto di una ingegneria sociale e di mutazione genetica, valori nuovi e post-moderni. Il nostro problema, in una età di crisi universale, è quello di conservare valori che per noi sono eterni. Rispetto al consumismo, noi preferiamo il romanticismo. Non i valori dei banchieri centrali, ma i valori dei nostri padri spirituali. Un esempio per tutti: il nostro contrasto politico all’idea post-moderna della “famiglia orizzontale”, che da noi dovrebbe prendere forma con i DICO alias CUS. Non è questione di essere religiosi o laici. Il Dico sublima infatti la cultura del consumismo. Consente di passare, come su una piattaforma girevole, dal consumo delle cose al consumo dei rapporti, delle relazioni e dei sentimenti in nome della nuova ideologia delle liberalizzazioni. L’essenza del Dico, matrimonio pop, è nella banalizzazione. Non è nemmeno più necessario salire al piano di sopra del Municipio: è sufficiente fermarsi al pian terreno in sala anagrafe per fare shopping giuridico, per consumare al banco un prodotto tipico di questo tempo. Immersi come moltitudine nella solitudine dell’effimero. Un prodotto a bassa intensità morale, e per questo un prodotto che ha un plus rispetto al matrimonio religioso o civile, così demodè nella liturgia, soprattutto così carico di fastidiosi vincoli e doveri… A questa visione si oppone, e francamente credo che debba essere opposta, una visione antica e forte della società, fatta da principi e da doveri. D) L’identità La difesa dell’identità è la difesa delle nostre diversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e «piccole patrie», vecchi usi e consumi, vecchi valori. Al fondo c’è qualcosa di molto più intenso che una parodia bigotta della tradizione. E’ un misto di paura e di orgoglio, una riserva di memoria, un retroterra arcaico e umorale che negare, comprimere o sopprimere, non solo è difficile. E’ dannoso. Saremo infatti più forti, nel futuro, solo se saremo più ancorati al nostro passato. Per inciso, se – a differenza che nel resto dell’Europa – in Italia non ci sono e diffusi e crescenti gli orrori della xenofobia, è anche per questo. Ed è anche per merito della fondamentale funzione democratica esercitata dalla Lega nord. E) Ordine (Legge & Ordine) Non servono nuove figure di reato. Serve la concreta ed anche territoriale applicazione di quelle che già ci sono. Ed è questo, della Legge & Ordine, il campo più difficile, su cui stiamo principalmente lavorando. 22. Nell’insieme dobbiamo dunque e possiamo reagire alla dittatura del relativismo. Una dittatura di tipo soft, ma pur sempre una dittatura. 23. Che fare? a) Per cominciare dobbiamo essere chiari: ci sono e si confrontano due diverse visioni della società: una strutturata, una destrutturata; per la destrutturazione basta il veltronismo. Per la difesa dell’altro serve forza spirituale. b) Poi non essere dogmatici. Dobbiamo imparare dagli errori della sinistra. La sinistra che, per tutto quello che pensava di già sapere, non è più stata in grado di capire. c) Ancora: partire dai cittadini e sentire i cittadini. Caduti gli schemi ideologici, sono infatti loro che sempre più decidono in presa diretta. d) Ancora: essere credibili. E per questo guardare sempre fuori dai nostri confini. Pensa globale, agisci locale. Studiare sistematicamente tutto quello che avviene e/o si fa all’estero. Soprattutto in Europa. Dobbiamo in ogni caso essere realisti nei nostri programmi di governo. Le leve di potere dei governi si sono infatti accorciate. Nell’età della globalizzazione, i governi nazionali non possono più fare molto di buono (in compenso, se sbagliano, possono fare molto male). I governi non fanno la produzione. La produzione la fanno i lavoratori, gli imprenditori, i consumatori. Ma tuttavia i governi possono e devono fare la piattaforma istituzionale, la base delle regole della produzione. e) Ancora, non basta opporsi in negativo. Non basta il “Feinbild”, l’autodefinizione “ a contrariis” in ragione del proprio avversario. Serve differenziarsi, ma soprattutto in positivo. Vincere le elezioni, magari anche per demerito degli avversari, è diverso ( è più facile) che vincere il governo. In ogni caso, una cosa è vincere le elezioni. Una cosa che come insegna l’esperienza è più difficile è vincere il governo. f) Infine, studiare. E’ scritto nella Genesi che tutte le cose importanti cominciano con una parola. Le fondamenta sono sempre intellettuali. 24. Per concludere dunque: leggete un libro di storia. Sarete sempre aggiornati. Ma non basta neppure essere aggiornati. Guardate al futuro. Per tutte queste ragioni, e per questa ultima ragione in particolare, vi do un indirizzo. L’indirizzo di una biblioteca: l’indirizzo della “biblioteca dei sogni”.

  • KAS Round Table - Londra

    Presso il Wilton Park di Londra, la Konrad Adenauer Stiftung (KAS) organizza una tavola rotonda sui seguenti temi: – Il mercato transatlantico- implicazioni per i rapporti UE – Stati Uniti Interverranno: Karl-Theodor zu Guttenberg (MdB) e Daniel Franklin (Executive Director, The Economist); – Il nuovo governo in Francia e le conseguenze per l’Europa Interverranno: Noëlle Lenoir (Former Minister and Member of the Conseil Constitutionel) e Emil Kirchner (Jean Monnet European Centre of Excellence); – Cosa aspettarci dal nuovo Governo britannico? Interverranno: Damian Green (MP) e Lykke Friis (Pro Rector, University of Copenhagen); – Le leadership nell’UE Interviene: Eckart von Klaeden (MdB, Chairman of the Foreign Affairs Committee of the CDU/CSU-Parliamentary Group); – Il nuovo Consiglio europeo e le strutture per nuove cooperazioni all’interno dell’UE Interverranno: Peter Altmaier (MdB, Parliamentary State Secretary, Berlin) e Alan Dukes (Director General, Institute of European Affairs, Dublin).

  • News - On track for more competitive rail freight in Europe

    The European Commission adopted on 11 December a proposal for a regulation that would involve working with Member States to designate international rail corridors providing operators with an efficient, high-quality freight transport infrastructure. This is central to Europe’s rail revival and to creating a transport system in the Community that is both efficient and sustainable. The development of rail freight is a key issue for transport in Europe. Rail transport creates little pollution and could be a competitive alternative to transport by road. The Commission’s ambition is to increase the proportion of goods transported by rail by encouraging the creation of corridors along which conditions for freight transport can be significantly better than is the case currently. As a result, rail operators will be able to offer an efficient, high-quality service and be more competitive on the goods transport market. In particular, the corridors linking the Member States will make it possible to: integrate national infrastructures on the basis of closer cooperation between infrastructure operators both on investment and actual operation; respond better to rail freight operators’ requirements; manage effectively those infrastructures that are used by passenger and goods trains so that freight is no longer at a systematic disadvantage; and ensure better connections between the rail infrastructure and other modes of transport, which is essential to the development of co-modality. The creation of international railway corridors for the transport of goods is not a new idea. Already in the ‘logistics package’ which it adopted in October 2007, the Commission signalled its intention to come up with specific proposals geared to establishing a railway network in Europe that put freight first. Coming after wide consultation of the sector and a detailed impact assessment, today’s proposal is intended to put in place many of the measures required to ensure the sustainable development of rail freight.

  • Report EIF - The Digital World in 2025

    Il 29 settembre European Internet Foundation (EIF) presenta al Parlamento Europeo il report “The Digital World in 2025” richiamando l’attenzione di leader e policy-makers sulle implicazioni economiche e socio-politiche della rivoluzione digitale. Quello che EIF propone non è una mera previsione sul futuro, ma un’analisi dei probabili sviluppi del mondo digitale basati sulle dinamiche oggi osservabili. A tali osservazioni si accompagna l’identificazione di aspetti chiave e di politiche che necessariamente si troveranno ad occupare uno spazio maggiore nel contesto di riferimento. Le azioni intraprese in questi ambiti nei prossimi cinque anni, sostiene EIF, contribuiranno a determinare la posizione dell’Europa nel 2025. Il progetto “The Digital World in 2025”, lanciato nel 2008, ha previsto una serie di eventi a promozione del dibattito e dello sviluppo delle tematiche affrontate. Parallelamente a tale programma, è stato elaborato il report presentato ora al Parlamento Europeo. Partendo dall’osservazione delle profonde trasformazioni in atto, il report propone un paradigma attraverso cui immaginare il mondo digitale del futuro: alla base vi è il concetto di “collaborazione di massa”, una dimensione che va affermandosi grazie alla disponibilità sempre più totale di sistemi, reti e strumenti di comunicazione digitali ad alta velocità e capacità. Quali saranno le caratteristiche fondamentali di questo scenario sul piano economico, politico e sociale? Che dinamiche tecnologiche, ma non solo, ne guideranno lo sviluppo? Cosa significherà in termini macroeconomici e strutturali tale rivoluzione? Come influirà sul ruolo del governo e del servizio pubblico? EIF offre un’analisi di questi ambiti al fine di sollevare una questione politica che le nostre società democratiche sono chiamate ad affrontare oggi: “quale mondo digitale vogliamo”?

  • Seminar EIN/PPE - What are the challenges for the European energy policy? - Brussels

    Nel corso del seminario organizzato dal Partito Popolare Europeo e da EIN a Bruxelles, il 7 febbraio, il Commissario europeo Andris Piebalgs ha tenuto un discorso sulla politica energetica. Di seguito la trascrizione: Ladies and gentlemen, The world today is facing a massive energy and environmental challenge, a challenge that is particularly acute for Europe. Let me first consider energy security. According to the IEA, on a business-as-usual scenario, world energy demand is set to increase by more than 50% by 2030. As the IEA states: “the ability and willingness of major oil and gas producers to step up investment in order to meet rising global demand are particularly uncertain….rising oil and gas demand, if unchecked, would accentuate the consuming countries’ vulnerability to a severe supply disruption and resulting price shock”. It is becoming increasingly clear that without real and effective action we will simply end up consuming more, polluting more and emitting more CO2. The potential effects of this on Europe must be cause for concern – our dependence on imported oil and gas is growing. Today we import about 50% of our energy. By 2030, if we do not act, it will be 65%. The potential effects of this on our economy are serious. And this continual increase in energy consumption is not just a threat to the global economy. Climate change is serious and it is happening today. The scientific evidence is unanimous and is overwhelming. On present trends, the world’s output of CO2 – which accounts for 75% of all greenhouse gases, will increase by 55% by 2030. The EU’s emissions are set to increase by 5% during this period. If we let this happen the results on or environment, on our economy, and our way of life will be tremendous; not only for developing countries but also Europe. The evidence is clear: - the ice caps and glaciers are already melting, and this is just the beginning. This is set to accelerate, causing rising sea levels. A 1 meter rise would be serious for Europe, yet alone numerous cities around the world. The consequences in terms of potential refugees is serious; - increases in temperatures will have very serious effects in many areas, on the standard of living, on disease and water availability and on agriculture. And these increases will be higher in some areas than others. The potential effects in Southern Europe and particularly Africa must be of concern to us all. If we allow this to happen, we will leave a legacy to our children and grandchildren. CO2 that we emit today stays in the atmosphere for 100 years. Climate change is real, it will affect us all, and it will damage the lives of our children and grandchildren. We have caused it, but now have to prevent it. Acting now is a moral and economic obligation, not an option. Furthermore, the present direction of Europe’s energy policy will fail to contribute to Europe’s competitiveness. The EU today is world leader in many energy technologies, but we are now being out-spent in research in new, low carbon technologies. This is a missed opportunity. Today, the EU does not have a common energy policy fit to deal with these challenges. Once again, without such a vision and a coherent European framework, we will end up using more energy, importing more energy, emitting more CO2 and we run every risk of having fragmented national electricity and gas markets dominated by a single or handful of companies. In many respects, this is surprising, because energy is at the very origins of the creation of the EU. The original Messina Declaration, of 1955 stated that “To these ends, the ministers have agreed on the following objectives: …putting more abundant energy at a cheaper price at the disposal of the European economies…” The first EC Treaties dealt with coal and then nuclear – the key energies of the time. Yet the present EU Treaty has no specific provisions on energy at all similar to those for agriculture, fisheries and transport. The need for a new European Energy Policy is self-evident. These are challenges that no Member State can deal with alone. Indeed, in many respects they are challenges that Europe cannot deal with alone – climate change and exploding energy demand are global problems, requiring a global response. This has been recognised by the EU’s Heads of State and the European Parliament, asking the Commission to put forward exactly such a European Energy Policy, which the Commission has tabled on January 10th. This proposes the most wide-ranging reform of Europe’s energy policy ever attempted, fundamentally changing the direction in which we are heading. The energy package put forward by the Commission contains a core strategic energy objective contained in the Strategic Energy Review and is accompanied by a concrete Action Plan to achieve it, based on 7 main documents: - the Internal Market Review and final conclusions of the Sectoral Competition Enquiry; - the Action Plan on Energy Efficiency; - the Long Term Renewables Road Map and Renewable electricity and Biofuels Reports; - the Communication preparing a Strategic Energy Research Initiative; - the Priority Interconnection Plan; - the Communication on Sustainable Fossil Fuels; - the Illustrative Nuclear Programme. The point of departure is a key objective: we redirect our energy policy to enable the EU to achieve a 20% reduction of the greenhouse gas emissions that it produces by 2020 compared to 1990 levels. This unilateral 20% target needs to be seen in the context of the need for international action on climate change. When such a commitment will exist, the EU will need to do more, with an increased target of 30% reduction by 2030 and 60-80% by 2050. But we cannot do this alone. We need however, in our own interest, to take the steps to achieve the 20% target today. Even without global warming, we should be making such a step: the 20% objective can limit the EU’s growing exposure to increased volatility and prices for oil and gas, bring about a more competitive EU energy market, and stimulate technology and jobs. It is however a huge challenge: in energy specific terms, meeting this overall greenhouse gas target will require the EU to reduce the amount of CO2 from its energy use by at least 20%, and probably more, in 13 short years. It means therefore progressively transforming Europe into a highly energy efficient and low CO2 energy economy. It is means nothing less than a new industrial revolution. The Commission therefore proposes not just a new strategic target to shift the direction of Europe’s energy policy. It has equally tabled a concrete, coherent Action Plan: 7 inter-linked measures that will put us on course to achieve all three underlying objectives – competitiveness, sustainability and security of supply. The first of these concerns the Internal Energy Market. Without an Internal Energy Market that is truly characterised by intense European-wide competition, none of the EU’s core energy objectives will be achieved. Prices will be higher than necessary, the emissions trading mechanism will fail to work properly, and companies will have the ability and incentive to limit investment in new infrastructure, inter-connection capacity and generation, increasing the risk of black-outs and unnecessary price surges. So far, the present rules and measures have not yet achieved our objectives. The lack of progress is leading Member States to impose generalised caps on electricity and gas prices. This situation cannot continue. I consider that a coherent series of measures now need to be taken. The first of these measures concerns unbundling. Without effective separation of networks from competitive activities there is an inherent risk not only of discrimination, but possibly more importantly, of a disincentive on vertically integrated companies from investing adequately in their networks. There are two options that might be considered to redress this: a full Independent System Operator or ownership unbundling. Of this two, I believe that ownership unbundling is clearly the preferable option. Secondly, the Commission proposes an improvement in the effectiveness of energy regulation. Regulators must be given not only the task of promoting the effective development of their national market, but also that of promoting the development of the Internal Energy Market. In addition, despite the creation of the European Regulators’ Group for Electricity and Gas (ERGEG), insufficient progress has been made in harmonising the technical standards necessary for cross-border trade to function. A step change is necessary, and formal decision-making powers should now be given to a new body set up at Community level, with the power to adopt binding decisions on technical issues and mechanisms relating to cross border trade. An alternative possible, but less ambitious approach, would be to significantly strengthen the existing ERGEG. It is worth noting, however, that these changes would not seek to create a “European Regulator”, national regulators would remain individually responsible for the core regulatory tasks such as tariff setting. In addition to these two key measures, new measures are proposed in four areas: - Transparency: new measures setting minimum requirements to be respected by all EU companies, similar to that already adopted for telecommunications; - a new Energy Customers’ Charter with the goals of tackling fuel poverty, improving the level of information available to citizens and protecting customers from unfair selling practices; - Network security: As you can see from the slide behind me, recent failures in network security have to be prevented in the future, they affect us all and are unacceptable. The new Community Transmission System Operators mechanism should also be tasked with proposing common minimum security standards. These would become binding following approval by energy regulators; - Infrastructure: identifying the most significant missing infrastructure and ensuring pan-European political support to make progress. Putting these proposals into practice requires difficult decisions to be taken. But this has to happen if we to are guarantee the development of a European Energy Market that really meets the needs of Europe’s citizens. The Commission will table formal legislative proposals – the third liberalisation package – during 2007. The second key area of the new European Energy Policy concerns solidarity between Member States and security of supply for oil, gas and electricity. The Commission will monitor implementation of the Gas Security Directive recently transposed by Member States and assess its effectiveness and examine ways to strengthen existing crisis solidarity mechanisms. In addition, it will consider how the EU’s contribution to the IEA’s strategic oil stocks mechanism could be improved. The third area for concrete action proposed by the Commission concerns an ambitious programme of energy efficiency measures at Community, national, local and international level. Of all the proposals put forward in the new European Energy Policy, efficiency has the potential to make the most decisive contribution to the EU’s sustainability, competitiveness and security of supply. On 19th October 2006 the Commission adopted the Energy Efficiency Action Plan, to achieve a 20% improvement in energy efficiency by 2020. This would mean the EU using approximately 13% less energy in 2020 than today, saving €100 bn and around 780 millions tonnes of CO2 each year. This is truly ambitious, and we should not underestimate the difficulty in achieving it. The challenge will be now to take this forward. In addition, in the coming months the Commission intends to put forward the basis of a new international agreement on energy efficiency. This could bring the OECD and key developing countries (such as China, India and Brazil) together to agree common approaches to saving energy. We should aim at signing such an agreement during the Beijing Olympic Games. The potential energy saving and CO2 reduction is enormous – improved energy efficiency alone could cut around 20% of current global CO2 emissions. I would now like to discuss the fourth concrete area where the Commission proposes concrete action: renewable energy. It is a simple fact that if we do not shift in our energy mix in a major way towards renewable energy over the next 13 years and beyond, we will have no chance whatsoever of reducing greenhouse gas emissions by 20%. So a major increase in renewable energy is a precondition for meeting our core energy objective. But we should be doing this even if climate change was not happening. Together with energy efficiency renewable energy is practically the only way that we can limit our increasing dependence on imported hydrocarbons. Sweden has produced very interesting ideas on how to make Sweden an oil free society. To meet these challenges the Commission proposes that a commitment is made to increase the level of renewable energy in the EU’s overall mix to 20% by 2020. Targets beyond 2020 would be assessed later in the light of technological progress. This is tremendously ambitious. Despite agreeing an EU objective of ensuring that 12% of our energy mix is renewable by 2010, we are unlikely to exceed 10%. There has been real progress, particularly in wind and biofuels, but this has been concentrated in a few countries. So the Commission is proposing nothing less than a new industrial revolution in energy policy. It is however also possible, with major increases in wind and the development of a major off-shore European supergrid and more biomass for heating. Biofuels will also need to become a real and every day part of the lives of European citizens. Today I visited a petrol station here in Stockholm with biofuels – we need more! However, to make it a reality, it requires three things. - Firstly, real commitment by Member States, not just promises. This means legally binding targets. - Secondly, we need to get the cost of renewable energy down. This is an opportunity for Europe as much as it is a challenge. The global market for renewable and low carbon energy technologies is expanding. - Thirdly, given the level of ambition of these targets, each Member State should have a legally binding national renewable energy target, but within this, they should be free to determine the precise mix between renewable electricity, biomass for heating and cooling, and biofuels. However, a minimum and common biofuel target of 10% of the fuel mix by 2020 is necessary for all Member States. A new Umbrella Directive will be put forward by the Commission in 2007 to make this a reality. Until this is adopted, the current rules and targets will remain in place. I would now like to return to research, the next key part of the European Energy Policy. It is a regrettable fact that Europe is not the clear leader in research into the next generation of low carbon and renewable technologies. In 2007 the Commission will therefore table a European Strategic Energy Technology Plan. This will set clear objectives and targets for Europe’s energy research and technology, such as developing second generation biofuels and getting large scale offshore wind competitive. These are just examples, in 2007 we shall propose a concrete programme to better coordinate existing resources, to use them in a more targeted and focussed manner and, where necessary, invest more. The European Spring Council of 2008 will need to conclude on this. A related issue concerns the next area where the Commission believes progress needs to be made: moving towards a low CO2 fossil future. The IEA expects twice as much electricity to be produced from coal by 2030. That would release around 5bn tonnes of CO2, representing 40% of the expected increase in global energy-related CO2 emissions. Put quite simply, without clean coal and capture and storage, the most pessimistic scenarios regarding global warming put forward by scientists – an increase of 6°C above current levels – look practically certain to occur. This would be truly disastrous. For Europe as well, without these technologies from 2020 onwards, we will not be able to meet our greenhouse gas emissions objectives. In our own interest therefore, we need to take world leadership in this area. In addition to clean coal and sequestration being key elements of the Strategic Technology Initiative, the EU needs to provide a clear vision for the introduction of CO2 capture and storage, to establish a favourable regulatory framework for its development, and to take international action. Vattenfall is involved in one of the first CO2 capture and storage facilities in Europe. In 2007, therefore, the Commission will start work to design a mechanism to stimulate the construction and operation by 2015 of up to 12 large-scale fossil fuels demonstration plants in the EU. The Commission believes that, in principle, by 2020 all new coal-fired plants will need to be fitted with CO2 capture and storage and existing plants should then progressively follow the same approach. I would now like to turn to the role of nuclear in the European Energy Policy. First, some facts. At present nuclear electricity makes up 30% of EU electricity, 50% in Sweden. It raises important issues regarding waste and decommissioning, but is the largest EU low-carbon energy source today, and also one of the cheapest. It has relatively stable costs, uranium reserves are sufficient for many decades and they are widely distributed around the globe. It is for each Member State to decide whether or not to rely on nuclear electricity. However, in the event that the level of nuclear energy reduces in the EU, it is essential that this reduction is phased in with the introduction of other low-carbon energy; otherwise the objective of cutting Greenhouse gas emissions will be doubly difficult to meet. In short, the EU needs an objective debate on this issue; there are no longer – aside from energy efficiency – any easy energy choices and the challenge we face is enormous. At EU level, the role should be to develop further the most advanced framework for nuclear energy in those Member States that choose nuclear power. This should include nuclear waste management and decommissioning. In order to make progress the Commission proposes to establish an EU High Level Group on Nuclear Safety and Security. Finally, I would like to consider the need for a common External EU Energy Policy. Global warming is a global challenge and improved security of oil and gas supply will only result from real international action. The EU can set the pace on these issues, but it needs to bring other partners onboard. We can only do this if Europe speaks with one voice. Many of the priorities to be pursued in this area have already been identified and discussed by the Heads of State. I would like to highlight which should be our main priorities: - first of all co-operation with our neighbours, starting with the Energy community, and with the Euro-Mediterranean partnership; - then permanent dialogues with our main suppliers: Russia, Norway and Algeria; - OPEC and the countries of the Gulf region; - countries of the Black and Caspian Seas; - main consumers such as US, China and India; - and last, but not least, Africa. As a first step a comprehensive Africa-Europe Energy partnership should be developed, launched through a joint event at the highest level in 2007. In addition, the energy developments that will take place in Europe over the next two decades represent real opportunities for improving the lives of the world’s poorest. The recent oil price rises have effectively cancelled the effect of development aid in some countries. Africa in particular offers a unique opportunity to use renewable energy technology in a competitive manner. This is a real “win-win” opportunity, increasing the penetration of clean renewable energy and bringing electrification to some of the world’s poorest citizens. A special effort will be needed in Sub-Saharan Africa. Ladies and gentlemen, Taken together, these 7 areas represent the Action Plan, the concrete basis for a new European Energy Policy. It is truly ambitious. It is a vision of Europe with a thriving and sustainable energy economy, that has grasped the opportunities behind the threats of climate change and globalisation, gained world leadership in clean, efficient and low-emission energy technologies and become a motor for prosperity and a key contributor to growth and jobs. It is the beginning of a new industrial revolution in energy. To achieve this vision we need to act jointly and urgently. As I stated many times during this presentation, this is not just a challenge, it is an opportunity, and I am convinced that for those who seize it, the rewards will be great. Let us do so. Thank you.

  • EIN: un network europeo di idee in vista del 2025

    L’acronimo anglosassone EIN può dirci poco. Ma European Ideas Network nasce nel 2002 come luogo aperto di riflessione in seno al Gruppo del Partito Popolare Europeo – Democratici Europei (PPE-DE) al Parlamento europeo. Questa rete può essere considerata “il think tank dei think tank di area centro-destra” e converge su Bruxelles più che altro per questioni logistiche, in quanto fa della sua necessaria eterogeneità un vantaggio competitivo. Oltre ad una quarantina di fondazioni e think tank (tra le quali la tedesca Konrad Adenauer Stiftung, la spagnola FAES, la francese Fondation pour l’Innovation Politique e l’italiana Fondazione Res Publica) e agli eurodeputati stessi, EIN riunisce opinionisti, giornalisti, imprenditori e accademici provenienti da tutta Europa e non solo. Ogni anno si svolge la Summer University con conferenze e tavole rotonde che chiudono il ciclo annuale di attività di dodici gruppi di lavoro dedicati a temi che vanno dall’energia all’innovazione, dalla politica estera alla governance dell’UE. Nel 2007 si è svolta a Varsavia la sesta edizione della Summer University, nel 2008 toccherà a Stresa dal 18 al 20 settembre. In questa occasione partecipano oltre trecento persone con conferenze e tavole rotonde aperte a tutti. Nelle scorse edizioni hanno partecipato, tra gli altri, José Manuel Durão Barroso, Angela Merkel, Edouard Balladur, Hans-Gert Poettering, José María Aznar, Viktor Orban, Lech Walesa, Garry Kasparov, Bernard-Henri Lévy, e Jeremy Rifkin. Nel corso del 2007, EIN ha condotto un importante progetto “Il mondo nel 2025: Come l’Unione Europea dovrà rispondere alle sfide”che nasce dalla pubblicazione di due analisi: “Mapping the Global future” del National Intelligence Council (Washington), e “The New Global Puzzle: What World for the EU in 2025” del European Institute for Security Studies (Parigi). Le conclusioni del dibattito svoltosi nell’EIN ha portato ad un documento articolato in quattro macro-aree: 1) La globalizzazione e l’economia digitale 2) La demografia e l’immigrazione 3) Il terrorismo e la sicurezza 4) L’energia e l’ambiente La globalizzazione e l’economia digitale. Entro il 2060, la Cina e l’India rappresenteranno probabilmente il 50% del PIL mondiale, cosa che era già avvenuta nel 1820. Questa riapparizione dell’Asia come potenza economica mondiale comporterà per l’Europa una sfida profonda e spetterà agli europei determinare se questo futuro declino relativo dell’Europa rispetto all’ascesa dell’Asia rimarrà, nei prossimi vent’anni, l’effetto collaterale di una semplice marcia di avvicinamento o significherà per l’Europa l’inizio di un processo che la vedrà definitivamente superata da paesi più dinamici. Esiste un’unica possibile strategia per l’Europa: portarsi all’avanguardia dell’era dell’informazione e deve riuscire a padroneggiare un’economia basata sulle conoscenze, dal momento che le tecnologie dell’informazione ormai permeano ogni settore politico. Un simile compito non sarà semplice; per capovolgere la tendenza in atto, gli elementi fondamentali saranno rappresentati dall’educazione, dall’innovazione e dallo spirito imprenditoriale. A tale scopo, l’Europa dovrà liberarsi delle rigidità e delle regole mercantilistiche che reprimono lo sviluppo di una mentalità imprenditoriale dinamica. La demografia e l’immigrazione. Attualmente, il numero di nascite annuali ogni mille persone a livello mondiale è di 21; negli Stati Uniti è di 14; in Europa è di 10. Se queste tendenze saranno confermate, i loro effetti si radicheranno profondamente in tutti gli aspetti della vita europea, ivi compresi le pensioni, i trasporti, gli alloggi ecc. Per affrontare sia le sfide sia le opportunità offerte dai cambiamenti demografici, i responsabili del processo decisionale in sede europea dovranno promuovere tassi di natalità più alti, elevare l’età pensionabile o del collocamento a riposo, aumentare i tassi di partecipazione alla forza lavoro, stimolare una maggiore produttività dei lavoratori esistenti, incoraggiare il lavoro a orario ridotto e l’adattabilità dei lavoratori tramite incentivi normativi e finanziari. In materia d’immigrazione, i paesi UE dovranno riconsiderare le scelte normative in tale settore, attualmente sbilanciate a favore di lavoratori non qualificati, e sostituirle, almeno in parte, con politiche che facilitino l’immigrazione di lavoratori qualificati. Dovrebbero essere intraprese iniziative per aumentare le qualifiche professionali degli immigrati ormai integratisi da tempo e avvalersi del loro multilinguismo e delle loro profonde conoscenze per promuovere la comprensione interculturale, mentre dovranno essere presi provvedimenti per attirare e trattenere lavoratori qualificati e invertire il fenomeno della fuga di cervelli. Il terrorismo e la sicurezza. Nella lotta al terrorismo non sono ammesse soluzioni provvisorie. Sono la risolutezza politica, la determinazione dell’opinione pubblica a resistere, l’adozione di provvedimenti contro il terrorismo sempre più sofisticati e precisi, la riduzione di ogni latente ragione legittima di risentimento e la marginalizzazione della causa terrorista che possono contribuire a creare le circostanze in cui la minaccia terroristica può essere eliminata. Tuttavia, il segreto per riuscire a sconfiggere la rivolta globale può effettivamente risiedere nella neutralizzazione dell’attacco attraverso l’adozione di approcci differenti nei differenti contesti geopolitici e lo sviluppo di Stati basati effettivamente sul rispetto della legge e in grado di erogare servizi ai propri cittadini e stabilire istituzioni democratiche. L’Unione deve continuare a considerare come prioritaria la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo intero. Tutti gli europei devono essere consapevoli dell’importanza di combattere per difendere i propri valori e di come questi debbano essere tutelati da ogni forma di minaccia terroristica; è essenziale una cooperazione stretta fra i loro governi sulla base di questa comprensione condivisa. Una sfida centrale per le società democratiche in Europa sarà rappresentata dall’integrazione politica ed economica di quei gruppi sociali che attualmente provano sentimenti di esclusione e risentimento. Per tutto questo, si renderà necessaria una dirigenza in grado di controbilanciare ogni misura aggiuntiva in materia di sicurezza di cui si imponga l’adozione con l’impegno a rispettare i valori democratici e le libertà individuali. L’energia e l’ambiente. Il modo più radicale di rispondere alla sfida climatica è quella di cercare di arrestare del tutto i mutamenti climatici tramite l’applicazione del protocollo di Kyoto. Esiste tuttavia una politica alternativa potenzialmente più efficace che consiste nella scelta di una “strategia dell’adattamento” basata sul concetto che la soluzione alle sfide poste dal cambiamento climatico arriverà tramite il progresso tecnologico. Si rendono necessari ricerca e investimenti che aiutino a mettere a punto nuove tecnologie suscettibili di migliorare la maniera in cui noi in Occidente e i nostri vicini sul pianeta viviamo nel nostro ambiente e insieme a esso: una strategia più promettente risiede nel non indebolire le fonti di mercato della crescita economica e del successo tecnologico, e invece sfruttare al massimo la società basata sulle conoscenze che la globalizzazione sta facendo nascere. Per quanto riguarda l’energia, nel medio periodo la sola tecnologia energetica di cui è dimostrato l’impatto significativo sull’approvvigionamento energetico è rappresentata dalle centrali nucleari. Soluzioni alternative quali le centrali eoliche o i biocarburanti sono in grado di apportare unicamente un modesto contributo all’aumento dell’offerta di energia e possono solo costituire utili integrazioni a livello locale. I divieti alla costruzione di centrali nucleari dovrebbero pertanto essere abrogati e in questo ambito la sfida fondamentale è costituita dall’esigenza di ricostituire un consenso popolare attorno all’energia nucleare. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero fornire cospicui crediti d’imposta e incentivi all’industria, alla piccola impresa, agli enti locali e alle regioni, nonché ai proprietari di case e ai consumatori, per promuovere sia la ricerca e lo sviluppo sia la pronta adozione di energie rinnovabili e di tecnologie connesse all’idrogeno e alle celle a combustibile. Il documento “Il mondo nel 2025: Come l’Unione Europea dovrà rispondere alle sfide” termina ricordando che tutte queste problematiche e soluzioni sono strettamente connesse fra loro. Ad esempio, l’innovazione è collegata alla demografia e all’immigrazione, ma, a sua volta, l’immigrazione è collegata al terrorismo e alla sicurezza, mentre la sicurezza è collegata alle questioni ambientali ed energetiche. Di conseguenza, se quest’opera dovesse rivelarsi utile per avvertire dei pericoli all’orizzonte i responsabili delle decisioni politiche, si deve sottolineare la necessità di aggiornamenti regolari allo scopo di avere cognizione di tutti i mutamenti che sicuramente influenzeranno queste reciproche relazioni a mano a mano che nuovi eventi si producono. Guardare al 2025 non permette una valutazione esatta di quali condizioni si verificheranno in quel momento, ma questo documento evidenzia chiaramente una serie di tendenze che non possono essere trascurate dai responsabili politici europei; coloro che sono competenti per elaborare i programmi dei partiti politici dovranno distinguere l’importanza di ciascuna tendenza e infine decidere quale azione debba essere intrapresa e quando. Stefano Riela

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