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Lectio Magistralis di Giulio Tremonti alla Scuola Giovanile Estiva di Forza Italia

1. Questa “lezione” sarà divisa in 2 parti: prima, la mia parte; poi, la vostra parte, fatta dalle vostre domande. E’ così che questa lezione si trasformerà, da lezione, in dialogo. 2. In ogni caso: non farò una “lezione – comizio”; non sarò assertivo, dogmatico, categorico. Piuttosto sarò “critico”, nel senso greco del termine. Farò ipotesi, darò spazio anche alle incertezze ed alle criticità.

3. Fare una lezione sulla politica è comunque un esercizio non usuale e non facile. Di solito è l’opposto: non sei tu che fai lezioni sulla politica, ma è la politica che ti dà lezioni. E te le da con le delusioni, le lezioni migliori, piuttosto che con le premiazioni.

4. Il primo pensiero politico organizzato è stato espresso da Platone nella Repubblica. La politica è “technè”. È anzi la forma superiore della “technè”: “E technè politikè”. L’immagine usata per la politica da Platone è quella del timone come strumento di governo della nave. Una tecnica la politica, che è la più complicata perché devi insieme conoscere la nave e l’equipaggio, la superficie del mare, i fondali, le stelle.

5. Non è forse un caso, se il luogo informatico di un importante ministro in carica evoca “Palinuro”. Palinuro. Il mitico nocchiero di Enea. Caduto in mare per l’effetto combinato del sonno e di uno scoglio, per cui nell’Eneide si legge: “… al vacillar del suo legno s’accorse che di guida era scemo e di timone…”. Essere “tecnico” è una cosa. Ma la “technè” è un’altra cosa.

6. Torniamo alla “navigazione” come arte. Le carte geografiche non sono più eurocentriche. Le nuove carte geografiche hanno infatti per centro l’America. Le prossime forse avranno per centro l’Asia. La bussola – l’intelligenza e la coscienza – è forse ancora la stessa. Ma gli spazi si sono estesi, le rotte sono cambiate.

7. E, se la realtà cambia, la politica non può restare uguale. Se la politica pensa di poter restare uguale, mentre cambia la realtà, ad un certo punto è la realtà che cambia la politica.


8. Cosa voglio dire? Che la carta politica che abbiamo davanti è cambiata, come per effetto di una rivoluzione. Che viviamo un tempo non banale, non normale. Un mondo in cui l’apparenza è ancora – per ora – quella di vivere a velocità costante, quasi in un noioso continuum esistenziale. Ma la sostanza delle mutazioni in atto è rivoluzionaria. E’ stato così altre volte nella storia. E’ stato così al principio del ‘500, con l’apertura degli spazi atlantici e con la conseguente rottura dell’antico ordine europeo. Quando il mondo diventa “mundus furiosus”. E’ stato così al principio dell’‘800. Il 18 settembre 1806, dopo la Rivoluzione francese, durante l’età di Napoleone, nella Fenomenologia dello spirito Hegel scrive di un “sentimento di ignoto… L’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbiamo avuto finora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come un’immagine di sogno”. E’ così di nuovo ora, al principio di questo secolo. Un brevissimo flash-back. Nel luglio 1989, anno bicentenario della Rivoluzione francese, ho scritto sul Corriere della Sera un articolo che provo a sintetizzare come segue: si è spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza. Prima lo Stato controllava il territorio e con questo la ricchezza (che stava infissa sul territorio: agraria, mineraria, paleo- o protoindustriale) e per questo aveva il monopolio della politica (batteva moneta, levava le tasse, faceva la giustizia). La globalizzazione avrebbe invece (si era solo nel 1989…) dematerializzato ed internazionalizzato la ricchezza, così erodendo le basi del vecchio potere politico nazionale. Così, mentre il primo ’89 era stato l’anno di avvio di rivoluzioni “parlamentari” (la costruzione politica dello Stato nazione), il secondo ’89 sarebbe invece stato anno di avvio del processo contrario. Sulla storia a seguire, qui mi permetto poi di rinviare a due miei libri: Il fantasma della povertà, Mondadori, 1995; Rischi fatali, Mondadori, 2005.

9. Cosa voglio dire di più? Entrando in un mondo nuovo, diffidate delle vecchie carte geografiche. Diffidate delle vecchie formule politiche, dei vecchi schemi culturali, dei vecchi luoghi mentali, delle vecchie parole-chiave. Incluse anche quelle più recenti.

10. E’ infatti certo vero che il nuovo mondo, unico e globalizzato, ha prodotto un suo proprio tipo di pensiero nuovo, il pensiero unico. Ma è anche certo vero che questo a sua volta è stato un prodotto effimero. E’ durato solo un decennio. La sequenza “mercato unico – mondo unico – uomo a taglia unica” ha in specie espresso un prodotto a veloce consumazione. A questo specifico proposito, sul mercatismo come sintesi inefficiente di liberalismo e comunismo, rinvio ancora al libro Rischi fatali, citato sopra.

11. Che formula, che metodo politico possiamo dunque usare nel tempo presente? Una prima determinazione. Nel governo ordinario, in specie nel dominio economico, la formula prevalente, dominante, non è e non sarà più una formula ideologica. Ma piuttosto una formula empirica. Una formula come questa: “Market if possible, government if necessary”. E’ questa una formula politica di tipo non universale, ma all’opposto, per definizione, di tipo particolare. Una formula che mira a soluzioni ad hoc, basate sull’equilibrio dinamico tra princìpi diversi e tra di loro potenzialmente opposti. E’ questo precisamente il tipo di politica che si è preso a fare nella Francia di Sarkozy. Per inciso: ricordate da noi, negli anni scorsi, le polemiche sul “colbertismo”? Un esempio attuale (potenziale) per l’applicazione di questa politica in Italia. Per la sinistra, il futuro di “Poste italiane S.p.A.” è quello di diventare una nuova grande banca privatizzata. Per noi no. L’Italia ha infatti bisogno di tutto, tranne che di una nuova banca. Piuttosto, gli italiani – i deboli, gli anziani, gli italiani che vivono in ottomila Comuni sparsi sul territorio – hanno bisogno di un diverso disegno del Welfare State. Non i cittadini che vanno nelle strutture pubbliche. Ma le “Poste italiane” che vanno a casa loro, portando l’infermiere, prendendo le prenotazioni per evitare le code agli anziani, portando le medicine, etc. Le nostre Poste, con più di 14.000 uffici, più di 50.000 veicoli, più di 150.000 addetti, possono farlo. Non è abbastanza di mercato? Forse. Ma è giusto provarci. Ed è per questo che è una delle nostre proposte di legge, per rendere più dignitosa la vita degli italiani.

12. E tuttavia non basta dire “market if possible, government if necessary”. Per una ragione molto semplice. Perché la realtà non è fatta solo dall’economia. Perché la politica non si identifica più con l’economia. E’ sembrato (e stato?) così nel ‘900. A partire dalla profezia di Rathenau: la politica è nell’economia. La profezia si è in parte avverata dentro le economie di mercato. Anche il comunismo è stata in parte prevalente una ideologica economica. Il mercatismo si è infine presentato come la forma nuova del materialismo storico. Ma ora, a questa altezza di tempo, possiamo dire che non è più così e che non può essere più così. L’economia è importante, ma la politica è una cosa diversa.

13. La politica vive e/o rivive dunque, ma su di un quadrante diverso. E di riflesso la differenza tra sinistra e destra resta, perché la grande dividente non è più sul modello economico ma sulla visione, sul disegno, sulla struttura della società. La realtà è più vasta, più complessa, più forte ed anche per questo reagisce all’economia. La realtà non è nell’economia. La realtà non è a dimensione unica. L’essenza della realtà è nella società ed è qui che nella dialettica storica tra destra e sinistra continua la politica.

14. Certo, l’economia resta importante. Ed è anche (ancora) sull’economia, ed in specie sulle tasse, che si vincono o si perdono le elezioni (soprattutto se a fare la differenza c’è un governo come il Governo Prodi). Certo è sull’economia che ancora si manifestano, ed anche forti, differenze politiche: a) cresce, tendenzialmente con i governi di sinistra, la pressione fiscale. E questo determina e marca differenziali di posizione, tra chi è a favore e chi è contro; b) persiste poi a sinistra una ideologica “fiscale” e giacobina, totalitaria ed odiosa. In sintesi, l’idea che la vita può, deve essere contenuta, schematizzata e dichiarata in un “modello unico”. Ma tutti comunque, nell’Europa continentale, tanto a destra quanto a sinistra, accettano in termini generali un unico modello economico, l’economia “di mercato”. Ovvero: non propongono modelli alternativi. Esclusi solo i modelli onirici o messianici, tipo “rifondazione comunista”. Non per caso, ma pour cause, sono possibili in Europa, e qui stanno anzi diventando la formula politica prevalente, le grandi coalizioni. Una formula politica questa che è essenzialmente determinata da cause economiche e per questo è basata proprio su comuni agende economiche. In ogni caso e proprio per questo, per essere essenzialmente strutturate sulla base di “agende” economiche, le grandi coalizioni non anticipano e non determinano la fine della politica. Non sono la post-politica.

15. Infatti è fuori dal dominio dell’economia, non tanto nel dominio fiscale quanto nel dominio spirituale, che ancora si sviluppa la dinamica politica. Ed è qui, su questo quadrante della mappa, che la politica prosegue. Prosegue nello sviluppo e nel confronto tra due diverse visioni della società. Semplicemente, il vettore della storia ha ripreso a muoversi, dall’economia alla società, dal materiale allo spirituale. Non è la fine del mercato. Ma è la fine dell’idea che il mercato possa essere la matrice totalizzante esistenziale, la base di un nuovo materialismo storico. Il mercato è una parte, non è il tutto

16. La nuova partita è iniziata in Europa con il dibattito sulle radici giudaico-cristiane: se inserirle – o no – nella nuova tentativa bozza costituzionale europea. La prima, ed in qualche modo superficiale o parziale, interpretazione ha trattato questa partita come una partita tra Parigi e Roma. Tra Parigi, luogo tutelare dei “lumi”, e Roma, centro storico e spirituale. L’interpretazione più vasta e più profonda pare invece essere un’altra: non una partita tra Parigi e Roma, ma tra Londra e Roma. Al fondo, la lotta tra due visioni della società. Londra come base di irradiazione di una visione della società che, banalizzandosi nei consumi e di riflesso nei costumi, si identifica ed appiattisce sull’economia (l’idea dell’europa-mercato). All’opposto, l’idea dell’Europa-politica. Frutto della sua storia passata e proiettata nella storia a venire proprio perché costruita come qualcosa di diverso e più alto rispetto alla geografia piana tipica di un’area di libero scambio + alcune autorità di regolamentazione del traffico. La partita è ancora aperta. Qui mi permetto di rinviare ad un mio articolo sulla dialettica storica tra queste due visioni della società, pubblicato sul Giornale nel 1999 sotto il titolo “Questa Chiesa ha un grande futuro politico”.

17. Andando avanti nell’analisi, è in specie proprio nell’alternativa strategica tra queste due visioni che si vede come la sinistra perde colpi e perde quota storica: dai pregiudizi su legge ed ordine al disegno della società nell’età dell’immigrazione, dai principi della vita ai limiti della ricerca scientifica. E su molto altro.

18. Perché la sinistra post-moderna perde quota, tanto sul piano dell’economia (con l’accettazione neofita ed enfatica del mercatismo), quanto e soprattutto e decisivamente sul piano del modello sociale? Perché i vettori della modernità si sono rovesciati? Perché, dopo quasi due secoli, la sinistra non è più il progresso e perché il progresso non è più a sinistra? Perché, per la prima volta nella sua storia, la sinistra non è più proietta verso il futuro, ma impigliata nel passato? Perchè la sinistra ci si presenta come un albero con le radici rovesciate, come un albero che cresce all’inverso, dall’alto verso il basso?

19. La risposta a queste domande si trova a sua volta rispondendo ad una domanda di fondo: cosa è successo alla sinistra? Per capirlo basta: – prima identificare le categorie-base storicamente proprie della sinistra; – poi verificare che queste sono contemporaneamente entrate in crisi, proprio con la “modernità”, prima evocata e poi spinta dalla globalizzazione. Con l’apporto decisivo e paradossalmente suicida proprio della sinistra stessa. Nei termini che seguono: a) basta guardare alle mutazioni intervenute nei processi produttivi, basta guardare un personal computer, per capire che la vita non è più massa, non è più collettivo, non è più grandi numeri; b) la ragione non fornisce più spiegazioni totalizzanti offerte nella forma della progressiva illuminazione. Lo sviluppo scientifico non è tutto positivo e tutto lineare. Per la prima volta nella storia, ciò che è possibile tecnicamente, non è detto che sia anche lecito moralmente; c) lo Stato nazionale (il container ed insieme l’hardware della ideologia di sinistra applicata alla società) è in crisi storica di potere, proprio per effetto della globalizzazione che ne ha eroso le basi; d) è in specie finita l’età del debito pubblico usato come leva sociale di transfert dall’alto verso il basso. E’ così che la sinistra non può essere più identificata con la sua essenza di politica sociale: con la spesa pubblica fatta a debito.

20. Questo deficit politico, culturale, spirituale non può essere colmato dalla politica post-moderna. Non può essere colmato dal pensiero debole, dal populismo leggero, dal relativismo, dal sincretismo, dal veltronismo. Il veltronismo si limita infatti a frullare, confondere ed infine a sublimare materiali eterogenei. Il veltronismo si prende tutto, usa tutto, diventa tutto. Nelson Mandela e Kennedy, Alcide De Gasperi ed i Procul Harum. Il veltronismo è la versione politica del “Truman show”. Lo show in cui tutto è falso. Ciò che è vero nel veltronismo è solo una foresta di contraddizioni. Veltroni va solo un po’ più avanti, rispetto al “Truman Show”, perché alla tecnica scenica aggiunge una tecnica retorica. Identificando e combinando relativamente verità ed utilità. Non è vero ciò che è vero. Non è falso ciò che è falso. E’ vero solo ciò che è utile per la propaganda. Un esempio: Veltroni attacca la democrazia che non decide. La democrazia che non decide sui trafori o sulla spazzatura. Bene. Ma è bravo solo a vedere gli effetti e non le cause dei fenomeni sociali che denuncia. Le cause del blocco e dello stallo politico sono infatti proprio nella democrazia dal basso, nella democrazia permanente, nella democrazia dei sindacati universali e dei comitati territoriali, in sintesi nella democrazia del ’68. Veltroni tratta tutto, ma non questo. Per una ragione molto semplice. Perché non può. Perché la matrice, la madre di questo tipo di democrazia, della democrazia in cui gli aggettivi ed i predicati cancellano il sostantivo (democrazia) è proprio la sinistra che lo ha espresso, che lo sostiene, che lui stesso dice di essere. In Veltroni c’è una sola variante, rispetto alla sinistra di base. Ed è una variante leggermente degenerativa. La vecchia sinistra parlava di bisogni. La nuova supera questa frontiera, passando dai bisogni ai desideri. In questa nuova prospettiva politica, non è necessario garantire qualcosa, è sufficiente promettere tutto. Il veltronismo è il riformismo gratuito: il mio impegno è il vostro desiderio. Con il ’68 la sinistra ha “spogliato gli altari”. E, come si dice, se non credi più a niente, finisci per credere a qualsiasi cosa. E’ per questo che sono comparse parole nuove, come consumatore, come fitness (le palestre detassate in nome dell’impegno sociale a dimagrire, pianificato dal Ministro Turco), come dressing (la nuova politica etico-ambientale di liberare i pubblici impiegati da un vincolo disciplinare che per la verità non c’è mai stato: il vincolo della cravatta). E’ il ’68 aggiornato. Ed è proprio dal ’68 in poi che sono invece scomparse dal vocabolario della sinistra, come se fossero state sbianchettate, le parole autorità e responsabilità, morale e dovere. Ed è proprio qui, nella progressiva decivilizzazione prodotta dal relativismo, che stanno insieme il vero marcatore e la dividente, tra sinistra e destra. Tra la sinistra che è. E la destra che vogliamo e che dobbiamo saper essere.

21. All’opposto userò 5 vecchie parole. E ne parlerò qui di seguito: Autorità Responsabilità Valore Identità Ordine (Legge & Ordine) A) Autorità E’ scomparsa l’autorità. Il ’68 ha infatti portato con sé la morte dell’autorità. Noi invece vogliamo più autorità nella vita pubblica. Non si può abrogare per legge il ’68. Ma molto si può fare anche per legge. Un esempio. Per principio, i pubblici uffici non sono al servizio degli impiegati che ci lavorano, ma dei cittadini per cui gli uffici devono lavorare. Siccome pare che le cose non vadano proprio così, l’idea della sinistra è stata una idea tipica della sinistra: istituire una “Autorità” contro i fannulloni. Tipica della sinistra, nei termini che seguono. C’è un problema? Facciamo una legge. Ma non una legge che supera il problema. Una legge che lo aggira. Salvo infine a scoprire che ci sono i fannulloni anche dentro gli uffici dell’Autorità contro i fannulloni. Noi faremo invece una legge che ristabilisce nei pubblici uffici le antiche linee verticali di gerarchia e di autorità. B) Responsabilità C’è una certa differenza tra il “siediti ed aspetta” e l’”alzati e cammina”. E’ quello che va fatto e che gli italiani si aspettano sia fatto. La prova? E’ nella sorpresa (!) del “5×1000”. Proposto da noi e scelto da 16 milioni di italiani. Su questa traccia proporremo, a fianco del “vecchio”, un nuovo aggiuntivo “5×1000” per l’ambiente. Ancora: riapriremo, quanto meno per capire se sono utili o no, il dibattito sulle mutue sociali che, in aggiunta al Welfare-State, hanno in Europa già più di 120 milioni di iscritti. Non sono, tutte queste, idee di sinistra. Infatti, per la sinistra tutto è statale e perciò tutto è legale. Assolto il dovere fiscale, sei liberato dai doveri sociali. Dagli antichi doveri verso te stesso, verso la tua famiglia, verso la tua comunità. Per la sinistra tutta la società si identifica infatti verso l’alto, con lo Stato. La sua visione è totale e verticale. Il disegno sociale è quello rigido, tecnico, tipico di un grande vecchio “mainframe computer”. All’opposto, il nostro disegno politico riflette la struttura reale ed attuale della società in cui viviamo e per questo non è solo verticale, è anche orizzontale, flessibile, federale nel senso radicale del “foedus”. In questi termini è un disegno che segue il tracciato di “internet”. La nostra visione non è nel dictum tatcheriano, dialetticamente opposto allo statalismo della sinistra: “Non esiste la società, esistono solo gli individui”. Per noi è l’opposto dei due opposti. Non solo esistono gli individui. Non solo esiste lo Stato. Esistono anche nell’intermedio, le famiglie e le comunità. La formula politica nuova ed unificante è proprio in questa dimensione. Una visione che è insieme vecchissima e nuovissima. Che è insieme sociale e morale. In una parola è nel senso politico generale proprio della parola responsabilità. Il problema non è più e/o solo un problema di quantità, ma piuttosto e soprattutto di qualità e di reale efficacia dei servizi pubblici. Quello che c’è ora è infatti un mondo in cui la complessità strutturale va molto oltre la semplicità tipica del primo assistenzialismo, consistente nella semplice fornitura in refettorio della scodella di latte, del posto letto in ospedale, del banco a scuola. Nel mondo attuale il problema politico reale non è più o non è solo quello di portare una massa di cittadini, calcolata in percentuale sul totale, ad un dato standard di prestazioni. Ma di procedurre e gestire un nuovo tipo di meccanismo sociale, verificandone l’efficacia, non tanto sull’astratto dei grandi numeri, quanto sul concreto dei singoli casi di intervento. Casi che non si indifferenziano più nell’universo dei grandi numeri, ma conservano e fanno sempre più emergere la loro propria specificità. E possono dunque essere analizzati e trattati solo in questa dimensione. In questi termini, la soluzione non è, e non può più essere, solo nella pura continuazione e/o intensificazione dei meccanismi classici di intervento “di massa” e “dall’alto verso il basso”. La soluzione è invece, e può essere piuttosto concretizzata con un movimento diverso. Con un movimento doppio. Non solo dall’alto verso il basso. Ma anche e simmetricamente e soprattutto dal basso verso l’alto. La soluzione – la sfida – non è infatti smontare il vecchio Welfare-State. Ma costruirne uno diverso. E di farlo essenzialmente passando dalla massa alla persona. Costruire un Welfare-State nuovo, intermedio tra lo Stato troppo “monolitico” e “gerarchico”, e la persona, che non può essere vista da sola e lasciata da sola. Con una specifica preliminare, a questo proposito. Si fa qui indifferentemente riferimento all’individuo (idea laica) o alla persona (idea religiosa). Ma comunque resta ferma, alla base, la dimensione morale e spirituale propria della nuova visione politica. Non puramente compassionevole – come nella vecchia tradizione puramente caritatevole – ma appunto “responsabile”. Responsabilità verso se stessi, verso la propria famiglia, verso la propria comunità. Responsabilità verso il passato (gli anziani), verso il presente e verso il futuro. E’ in questa strategia di riforma politica che viene in evidenza il ruolo essenziale delle strutture comunitarie. Il modello sociale socialista trova la sua massima espressione nel “trasferimento” pubblico dall’alto verso il basso. E con questo abdica alla responsabilità. Aliena la persona, spingendola verso l’astrazione dello Stato provvidenziale. Il nostro modello sociale è nuovo ed alternativo proprio perché assume una forte e nuova caratterizzazione, insieme personale e comunitaria. La politica fiscale e federale ne sono tratte come logici corollari. Gli effetti positivi della riduzione fiscale non servono solo per rilanciare l’economia, ma anche per finanziare i servizi sociali. E’ anche il federalismo, realizzato con la devoluzione di una ampia quota di poteri politici amministrativi e fiscali. C) Valori Il nostro problema non è creare, come in un progetto di una ingegneria sociale e di mutazione genetica, valori nuovi e post-moderni. Il nostro problema, in una età di crisi universale, è quello di conservare valori che per noi sono eterni. Rispetto al consumismo, noi preferiamo il romanticismo. Non i valori dei banchieri centrali, ma i valori dei nostri padri spirituali. Un esempio per tutti: il nostro contrasto politico all’idea post-moderna della “famiglia orizzontale”, che da noi dovrebbe prendere forma con i DICO alias CUS. Non è questione di essere religiosi o laici. Il Dico sublima infatti la cultura del consumismo. Consente di passare, come su una piattaforma girevole, dal consumo delle cose al consumo dei rapporti, delle relazioni e dei sentimenti in nome della nuova ideologia delle liberalizzazioni. L’essenza del Dico, matrimonio pop, è nella banalizzazione. Non è nemmeno più necessario salire al piano di sopra del Municipio: è sufficiente fermarsi al pian terreno in sala anagrafe per fare shopping giuridico, per consumare al banco un prodotto tipico di questo tempo. Immersi come moltitudine nella solitudine dell’effimero. Un prodotto a bassa intensità morale, e per questo un prodotto che ha un plus rispetto al matrimonio religioso o civile, così demodè nella liturgia, soprattutto così carico di fastidiosi vincoli e doveri… A questa visione si oppone, e francamente credo che debba essere opposta, una visione antica e forte della società, fatta da principi e da doveri. D) L’identità La difesa dell’identità è la difesa delle nostre diversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e «piccole patrie», vecchi usi e consumi, vecchi valori. Al fondo c’è qualcosa di molto più intenso che una parodia bigotta della tradizione. E’ un misto di paura e di orgoglio, una riserva di memoria, un retroterra arcaico e umorale che negare, comprimere o sopprimere, non solo è difficile. E’ dannoso. Saremo infatti più forti, nel futuro, solo se saremo più ancorati al nostro passato. Per inciso, se – a differenza che nel resto dell’Europa – in Italia non ci sono e diffusi e crescenti gli orrori della xenofobia, è anche per questo. Ed è anche per merito della fondamentale funzione democratica esercitata dalla Lega nord. E) Ordine (Legge & Ordine) Non servono nuove figure di reato. Serve la concreta ed anche territoriale applicazione di quelle che già ci sono. Ed è questo, della Legge & Ordine, il campo più difficile, su cui stiamo principalmente lavorando.

22. Nell’insieme dobbiamo dunque e possiamo reagire alla dittatura del relativismo. Una dittatura di tipo soft, ma pur sempre una dittatura.

23. Che fare? a) Per cominciare dobbiamo essere chiari: ci sono e si confrontano due diverse visioni della società: una strutturata, una destrutturata; per la destrutturazione basta il veltronismo. Per la difesa dell’altro serve forza spirituale. b) Poi non essere dogmatici. Dobbiamo imparare dagli errori della sinistra. La sinistra che, per tutto quello che pensava di già sapere, non è più stata in grado di capire. c) Ancora: partire dai cittadini e sentire i cittadini. Caduti gli schemi ideologici, sono infatti loro che sempre più decidono in presa diretta. d) Ancora: essere credibili. E per questo guardare sempre fuori dai nostri confini. Pensa globale, agisci locale. Studiare sistematicamente tutto quello che avviene e/o si fa all’estero. Soprattutto in Europa. Dobbiamo in ogni caso essere realisti nei nostri programmi di governo. Le leve di potere dei governi si sono infatti accorciate. Nell’età della globalizzazione, i governi nazionali non possono più fare molto di buono (in compenso, se sbagliano, possono fare molto male). I governi non fanno la produzione. La produzione la fanno i lavoratori, gli imprenditori, i consumatori. Ma tuttavia i governi possono e devono fare la piattaforma istituzionale, la base delle regole della produzione. e) Ancora, non basta opporsi in negativo. Non basta il “Feinbild”, l’autodefinizione “ a contrariis” in ragione del proprio avversario. Serve differenziarsi, ma soprattutto in positivo. Vincere le elezioni, magari anche per demerito degli avversari, è diverso ( è più facile) che vincere il governo. In ogni caso, una cosa è vincere le elezioni. Una cosa che come insegna l’esperienza è più difficile è vincere il governo. f) Infine, studiare. E’ scritto nella Genesi che tutte le cose importanti cominciano con una parola. Le fondamenta sono sempre intellettuali.

24. Per concludere dunque: leggete un libro di storia. Sarete sempre aggiornati. Ma non basta neppure essere aggiornati. Guardate al futuro. Per tutte queste ragioni, e per questa ultima ragione in particolare, vi do un indirizzo. L’indirizzo di una biblioteca: l’indirizzo della “biblioteca dei sogni”.

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