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305 risultati trovati

  • EIN Summer University 2008 - Fiuggi

    Il Gruppo del PPE-DE ha tenuto la settima edizione dell’ Università estiva annuale dell’European Ideas Network (EIN), la rete delle fondazioni europee vicine al PPE-DE, a Fiuggi che si è svolta da giovedì 18 a sabato 20 settembre. La tradizionale Università estiva dell’EIN rappresenta un forum privato per un’approfondita discussione politica. Nel corso di una serie di tavole rotonde e sessioni plenarie, i partecipanti hanno discusso sul tema: “Il mondo nel 2025: Un posto per i Valori in un mondo d’incertezze”. Una lista eccezionale di oratori: François Fillon, Primo Ministro Francese, Silvio Berlusconi, Primo Ministro Italiano; Wilfred Martens Presidente del PPE ed ex Primo Ministro del Belgio; José Manuel Durão Barroso, Presidente della Commissione europea; Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento europeo; Franco Frattini, Ministro degli Affari Esteri d’Italia ed ex Commissario europeo; Antonio Tajani, Vice presidente della Commissione Europea e Commissario responsabile per i Trasporti e Rodrigo Rato, ex Direttore generale del Fondo Monetario Internazionale. Sono state organizzate due speciali sedute plenarie sui temi ‘l’Economia globale e il suo futuro’ e ‘Valori europei o valori universali?’ I principali temi trattati sono stati: i valori: quale è il posto per i Valori in un mondo in rapido cambiamento? I nostri valori sono “universali” o “europei”? la situazione economica globale: quali ulteriori conseguenze del crollo del mercato creditizio? sui valori immobiliari? Una recessione globale? Che cosa ci aspetta? la Presidenza Francese: che cosa possiamo aspettarci su temi chiave come l’immigrazione è il cambiamento climatico? Il 18 settembre, Joseph Daul, Presidente del Gruppo PPE-DE al Parlamento Europeo, ha aperto i lavori dell’Università estiva, affiancato da Jaime Mayor Oreja, Vice-presidente del Gruppo PPE-DE, responsabile della Strategia politica e dell’European Ideas Network, da Stefano Zappalà e Iles Braghetto, capi della Delegazione italiana del Gruppo PPE-DE. L’European Ideas Network è un gruppo di riflessione paneuropeo aperto, creato nel 2002 dal Gruppo PPE-DE al Parlamento europeo. Questo network riunisce politici, imprenditori, accademici, giornalisti, consiglieri politici ed esperti esterni, per discutere alcune delle principali problematiche con le quali è confrontata oggi l’Europa. Coordina anche le attività congiunte di oltre quaranta think thank nazionali e le fondazioni politiche in tutta l’Unione europea.

  • Incontro con Michele Perini

    Lo scorso 9 settembre si è tenuto l’incontro inaugurale di “59 minuti con” il nuovo progetto della fondazione Res Publica, che mira a riunire intorno a un tavolo giovani imprenditori e protagonisti del mondo sociale e industriale italiano. Il relatore del primo incontro è stato Michele Perini presidente di Fiera Milano Spa. Nel corso dell’intervento si è dibattuto sull’importanza di Fiera Milano, seconda al mondo solo ad Hannover, sia per il paese sia, con 5 milioni di visitatori l’anno, per l’area milanese. La mancanza di infrastrutture di collegamento adeguate, in parte previste ma non ancora realizzate, rappresenta una sfida da portare a termine in tempi rapidi per il definitivo successo di Fiera Milano. L’occasione dell’Expo 2015 è quindi un appuntamento irrinunciabile per dotare la città e la fiera dei collegamenti necessari. Per il futuro Fiera Milano pone al primo posto l’internazionalizzazione attraverso joint venture già attivate con le principali fiere del mondo allo scopo di entrare in mercati sempre più importanti quali quello cinese, indiano russo e mediorientale.

  • Intervento alla Camera dei Deputati del Ministro Tremonti sul caso Alitalia

    Pubblichiamo il resoconto dell’intervento del 10 settembre 2008 del Ministro Tremonti, Presidente del comitato scientifico della fondazione Res Publica, alla Camera dei Deputati, IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni, riguardante gli sviluppi del caso Alitalia. Quello di Alitalia è un caso su cui, in un tempo straordinariamente breve, si è sviluppata una vastissima quantità di materiali, tanto di materiali mediatici, quanto di materiali politici. I materiali mediatici hanno concentrato ed espresso un lavoro straordinario, prova non casuale dell’alta qualità del nostro sistema di informazione. Se ha, in specie, un difetto la massa di materiali mediatici finora elaborati è quello di essere insufficiente in modo quasi paradossale, insufficiente per eccesso I materiali politici nel loro insieme hanno elevato il caso Alitalia da caso industriale quasi a metafora generale, a simbologia positiva o negativa, analisi e insieme sintesi del Paese, quasi fosse un’autobiografia dell’Italia, tra passato, presente e futuro. Forse anche questo è eccessivo. Per valutare correttamente cosa è ora in atto, dal lato della vicenda proprietaria, va comunque fatto un passo indietro. L’ultimo piano industriale ordinario di Alitalia è stato elaborato nel secondo semestre del 2004, notificato dalla Repubblica italiana alla Commissione europea il 15 ottobre 2004, approvato dalla Commissione europea con decisione del 7 giugno 2005, presentato al mercato con prospetto informativo depositato in Consob l’11 novembre 2005 e successivamente sottoscritto per le corrispondenti quote tanto dallo Stato, quanto dal mercato, in coerenza tanto con i vincoli imposti dalla disciplina europea, quanto con le manifestazioni di interesse espresse dal mercato. Al 31 dicembre 2005, a valle di questo aumento di capitale, il bilancio di Alitalia evidenziava un patrimonio netto pari a circa 1,4 miliardi di euro. Ciò che dopo è mancato non sono stati, dunque, i mezzi finanziari, il Governo, l’azienda, o il mercato, ma è stato altro. Con grande onestà politica e intellettuale un segretario sindacale confederale il 23 agosto scorso ha dichiarato in un’intervista: «Era meglio accettare, ma noi sindacati fermammo Berlusconi». Fuori da ogni polemica, perché era meglio accettare? Per molte ragioni, ma soprattutto per una ragione: quello era l’ultimo piano autorizzato e autorizzabile dall’Europa in procedura ordinaria. L’11 febbraio 2006 vengono sciolte le Camere; il 9 e il 10 aprile 2006 vengono celebrate le elezioni politiche nazionali. Il Governo Prodi si insedia il 28 aprile 2006, e si attiva su Alitalia solo il 10 ottobre 2006. Nella stessa data, sul sito della Presidenza del Consiglio, a seguito di un incontro fra il Governo e i sindacati, si poteva, in specie, leggere quanto segue: «Trasporto aereo. Incontro tra Governo e sindacati sulla questione riguardante il trasporto aereo e, in particolare, sulla grave situazione di Alitalia. Entro il 31 gennaio del prossimo anno dovranno essere fatte le scelte riguardanti il futuro di Alitalia». In altri termini, quello che mi permetto di considerare un paradosso si manifesta nei termini che seguono: si ammette che la situazione di Alitalia è diventata grave, e tuttavia il Governo si concede una moratoria di quattro mesi. Nel testo dell’audizione del Ministro Padoa-Schioppa del 2 aprile 2008, laddove lo stesso Ministro parla della sua attività, si legge che il 23 gennaio 2007 egli formulò una lettera di procedura ordinaria per la presentazione di offerte preliminari e che, uno dopo l’altro, tutti i soggetti si ritirarono, fino a che, nel settembre 2007, venne nominata una grande banca internazionale – la Citibank – quale advisor finanziario. Dei ventotto soggetti così avvicinati, alla fine ne rimane solo uno: Air France-KLM. Nel testo della stessa audizione si legge che il 28 dicembre 2007, d’accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’economia e delle finanze espresse un orientamento favorevole all’avvio di una trattativa in esclusiva con Air France-KLM. Credo che ora sia di grande interesse rileggere quanto allora notato, a futura memoria, dal Ministro Padoa-Schioppa, sempre nella citata audizione: «…La gravità della situazione è nota a tutti. Eventuali iniziative di discontinuità che gli amministratori della società si vedessero costretti a prendere nella loro autonoma responsabilità, segnerebbero l’ingresso in una condizione che nessuno può augurarsi: non i viaggiatori, non i dipendenti della società, non i contribuenti, non la SEA, non la classe politica, non il sindacato, non l’immagine internazionale dell’Italia. Il passaggio all’amministrazione straordinaria non è mai facile, né di certa conclusione, né, soprattutto, privo di ricadute sul sistema. In assenza di prospettive di ristrutturazione si converte in fallimento. Nel caso di Alitalia è ipotizzabile che le circostanze descritte porterebbero a un ricorso alla legge Marzano, l’unica in grado di affrontare la crisi di una grande azienda. Si dice che la procedura prevista dalla legge Marzano consente la prosecuzione, sia pure in regime straordinario, dell’attività di impresa e, perciò, offre possibilità di risanamento che la procedura fallimentare non consente. Bisogna, però, essere consapevoli che in casi di crisi industriale essa potrebbe essere risolutiva soltanto se il commissario ponesse in essere iniziative di ristrutturazione immediata e molto radicali. Vi sono fondati motivi per presumere che tali iniziative dovrebbero essere davvero assai più radicali di quelle proposte». Nel frattempo, apprendiamo ora dal Ministro Bersani, che falliva anche il piano B. In un suo articolo pubblicato il 7 settembre scorso su Il Sole 24 Ore il Ministro Bersani ci informa di quanto segue, verbatim: «Sì, esisteva un piano B e me ne stavo occupando personalmente. Prevedeva l’immediato commissariamento ai sensi della legge Marzano, modificata solo e semplicemente nel rendere flessibili e rapide le possibilità di cessione e nel garantire, per un periodo breve, alcuni aspetti di operatività. Il commissariamento sarebbe avvenuto su tutto il perimetro di Alitalia, sarebbe stato affidato ad una personalità autorevole in campo nazionale e internazionale già individuata, sarebbe stato nel solco delle norme vigenti in materia di concorrenza, dei diritti di terzi, degli ammortizzatori sociali. Per questa via si riteneva non impossibile trovare una soluzione dolorosa ma accettabile, eventualmente già organizzata su offerte congiunte tra operatori internazionali e attori nazionali. Tutto precipitò, com’è noto, mentre ancora si tentava di perfezionare l’intesa con Air France». È un documento nuovo e importante per la conoscenza del caso Alitalia. Non conosciamo i dettagli del piano B: quali varianti avrebbe apportato alla legge Marzano, cosa voleva garantire in termini di operatività, quale commissario, quale cordata. Sarebbe davvero ancora utile conoscere questi elementi, se non altro per una riduzione dei fattori di contrasto, dato che sembra una ipotesi sostanzialmente simile a quella in atto (Commenti)… Io credo che sia un diritto, se così posso dire, da parte del Governo esprimere la propria opinione. Sarebbe davvero interessante conoscere quali emendamenti… Certo, ognuno può sostenere di realizzare emendamenti migliori dell’altro, di trovare commissari migliori, migliori cordate, ma sostanzialmente il meccanismo della legge Marzano, degli emendamenti a tale legge, delle deroghe, sia pure temporanee, ai meccanismi di licenza, di operatività, è… quello. C’è solo un curiosum, costituito dal fatto che si era comunque nel corso di una trattativa che il Governo, nel suo insieme, aveva stabilito dover essere in esclusiva con Air France. Non ci interessa, comunque, l’analisi storica delle cause e dei motivi di questi fallimenti. Abbiamo solo delle difficoltà ad accettare che la colpa sia data da chi allora c’era ed era al Governo a chi non era ancora al Governo. Nei termini dati dalla realtà, e a questa altezza di tempo, l’unico esercizio comparativo che ci pare serio fare non è quello basato su Air France-KLM, come se ci fosse e potesse ancora esserci quello che non c’è più, ma quello basato sull’alternativa tra una ipotesi industriale che appare ora comunque realizzabile e la liquidazione, altrimenti inevitabile. Fallita la trattativa con Air France-KLM, e proprio perché era fallita, il Governo Prodi ha formalmente preso atto della crisi di Alitalia e lo ha fatto con il decreto-legge n. 80 del 2008. Ciò che soprattutto rileva in questo testo è la presa d’atto dei drammatici problemi posti dalla necessità di garanzia «di un servizio pubblico essenziale, al fine di evitare interruzione nella sua continuità territoriale»; la presa d’atto dei «problemi» di ordine pubblico; la volontà di «contenere le conseguenze sistemiche di rilevanza prioritaria per la politica del trasporto aereo e per il sistema economico del Paese, che si determinerebbero a seguito del blocco del trasporto aereo»; la volontà di non compromettere «il processo di privatizzazione di Alitalia»; la parallela presa d’atto della «gravissima situazione finanziaria di Alitalia come risulta dalle informazioni rese al mercato per far fronte all’immediato fabbisogno di liquidità indispensabile per la continuità dell’attività aziendale ordinaria nel breve periodo. La criticità della situazione risulta aggravata…». In sostanza e in sintesi, per evitare tutto quanto sopra, in ragione di interessi pubblici ritenuti prevalenti – ovvero la continuità del trasporto aereo e la continuazione del processo di privatizzazione di Alitalia – il decreto-legge n. 80 ha introdotto una normativa speciale, alternativa e/o sostitutiva di quella ordinaria, per evitare una altrimenti inevitabile procedura di crisi. Il Governo Berlusconi ha ottenuto la fiducia del Parlamento il 15 maggio 2008; da allora sono passati poco più di cento giorni. Il decreto-legge n. 23 del 2008 è del 27 maggio ed è stato approvato nel nostro primo Consiglio dei Ministri solo per rendere utile il decreto-legge n. 80. Va notato che, se nel prestito ponte si ravvisano profili di aiuto di Stato vietato perché in contrasto con le regole europee, questi sono radicati nel decreto-legge n. 80 e non nel nostro successivo decreto-legge. La procedura di infrazione europea è infatti iniziata subito sul decreto-legge n. 80. I successivi decreti-legge n. 97 e n. 134 stanno centrando proprio gli obiettivi essenziali previsti all’origine dal decreto-legge n. 80: evitare la crisi Alitalia per scongiurare il blocco del trasporto aereo e finalizzarne la privatizzazione. Se necessario, risulta agli atti la documentazione relativa alla tempistica, da cui si evince come la procedura di contestazione europea inizi immediatamente dopo il decreto-legge n. 80, prima dell’insediamento del Governo Berlusconi e della formulazione del decreto-legge modificativo del n. 80. La procedura di privatizzazione è in atto in queste ore e le relative informazioni sono rese in forma ufficiale e in tempo reale. Il Governo riferirà in Parlamento in ragione delle sue specifiche competenze. Mi permetto di formulare alcune considerazioni particolari in ordine ai punti principali del dibattito politico finora sviluppato. È stato rilevato come la procedura in atto abbia un costo per il bilancio pubblico. Mi permetto di invertire i termini del problema. Per il bilancio pubblico, la procedura in atto ha l’effetto opposto, quello proprio e tipico dello stop loss: non crea perdite, ma interrompe il processo di formazione di nuove perdite. Senza, continuando come prima, ammesso che fosse o sia comunque possibile continuare come prima, o come finora, il costo per il bilancio pubblico sarebbe stato, sarebbe molto maggiore. L’ideale sarebbe avere il trasporto aereo e scaricare le passività finora accumulate su qualcuno. La realtà, invece, è che: esistono passività accumulate; c’è bisogno del trasporto aereo ordinato in una logica di sistema: non c’è un acquirente disposto a rilevare insieme passività accumulate e trasporto aereo. Se ci fosse qualcuno disposto a farlo, avrebbe potuto farlo, potrebbe farlo, è ancora in tempo per farlo. Sfortunatamente, non c’è nessuno disposto a farlo. Questa è purtroppo la realtà data, una realtà profondamente diversa da quella in essere alla fine del 2005. Una realtà, quella che abbiamo davanti, per cui, in ragione dell’interesse pubblico essenziale ad un trasporto aereo concepito in una logica di sistema, si impone la necessità di finalizzare un’operazione ex legge Marzano nelle migliori condizioni possibili. Condizioni che non esistono in astratto, ma solo nel concreto della realtà oggettivamente in essere. Al riguardo è possibile comunque effettuare alcuni conti specifici. A giugno 2001, data di inizio del primo Governo Berlusconi, il valore di Borsa per azione di Alitalia era pari a 1,4 euro. Non è dunque esatto quanto pubblicamente dichiarato, ovvero che un’azione Alitalia valesse in Borsa 10 euro. Come è stato detto, e concordo, «per riportare un po’ di serenità bisogna stare al vero al vero». Nel maggio 2006, data di fine del primo Governo Berlusconi, incorporando gli andamenti di Borsa prodotti dalle Torri gemelle e in generale dall’andamento dei corsi di borsa, il valore di Borsa di un’azione di Alitalia era pari a 1,042 euro, un differenziale di valore assolutamente fisiologico, evidentemente diverso da quello oggetto di polemica (Commenti). Tutti i corsi di borsa hanno avuto quell’andamento. Nel successivo periodo di tempo, dall’insediamento alla crisi del Governo Prodi, il patrimonio netto di Alitalia è passato da 1,4 miliardi di euro a zero. Corrispondentemente, si è azzerato il valore delle azioni Alitalia. Ciò vuol dire che la non risoluzione della crisi Alitalia, protratta per tutti i 22 mesi di durata del Governo Prodi, ha distrutto valore per un pari importo. E questa è una prima voce di costo, insieme pubblico e privato. Le sorti del prestito-ponte, operato iniettando liquidità dal bilancio pubblico in Alitalia, dipendono dall’esito della contestazione europea sul decreto-legge n. 80. Si noti: questo non vuol dire che il prestito-ponte sia stato di per sé irrazionale. Vuol dire che è stato, a valle, la conseguenza necessaria di una politica di inerzia protratta per 22 mesi, un altro modo per distruggere valore. Il costo per regimi di assistenza sociale va ancora calcolato, ma per noi è ragionevole l’ipotesi che sarebbe stato minore se fosse stato realizzato il piano industriale ultimo ordinario possibile del 2005. Va infine e soprattutto aggiunto che, in assenza dell’intervento in atto, al costo erariale dovrebbe essere aggiunto il costo reale, che sarebbe generato dal blocco del trasporto aereo nazionale, un costo reale ed enorme considerata l’attuale permanente assenza di altre soluzioni attese o ipotizzate come magicamente provenienti dal mercato. Soluzioni che in realtà ad oggi sono del tutto assenti. È vero che l’Italia è, nell’universo del trasporto aereo mondiale, l’ottavo mercato mondiale, ma non è affatto detto – è tutto da provare – che dal mercato planino sulla crisi di Alitalia altri nuovi operatori, stranieri o italiani, comunque disposti a farsi generosamente carico delle nostre esigenze di sistema. A tale proposito, c’è una buona definizione di «compagnia di bandiera» ed è quella data nella sua audizione dal Ministro Padoa-Schioppa: «Nel trasporto aereo la compagnia di bandiera è quella che assicura la maggior parte dei collegamenti aerei all’interno di un Paese e verso l’estero». È stato detto che l’operazione in atto non escluderebbe la più o meno immediata cessione di Alitalia a terzi o a stranieri. Una cessione che potrebbe essere prossimamente operata sopra, con la cessione della proprietà della società, o sotto, con la cessione della sua attività. Non è propriamente così. Per quanto è noto, il lock-up societario non è un patto parasociale, ma una componente strutturale dello statuto sociale della società presentatasi all’offerta. Una sua modifica richiederebbe una maggioranza qualificata del 66 per cento. Analoga maggioranza qualificata sarebbe richiesta per eventuali delibere di cessione a terzi dell’attività aziendale sottostante, cessione che infatti costituirebbe modifica sostanziale dell’oggetto sociale, per cui sarebbe richiesta la stessa maggioranza. Questi vincoli li valutiamo insieme necessari e sufficienti. Altri vincoli non sarebbero compatibili con la normativa europea. In ogni caso va notato che la società offerente è oggi composta da 18 soggetti, di cui: 5 società sono quotate in Borsa; 2 sono tra i più importanti fondi di private equity italiani con partner nazionali e internazionali; 2 società hanno fatturati pari a molti miliardi di euro, realizzati in diversi Paesi del mondo; altri sono imprenditori seri e credibili. È stato ipotizzato che l’operazione in atto contrasti con i princìpi fondamentali del mercato, basato su competitività e concorrenza. Ma cosa è il mercato: è quello che si stilizza nei libri o quello che si trova nella realtà? In Germania, Lufthansa ha circa il 90 per cento del mercato interno tedesco, in Francia Air France-KLM ha circa il 65 per cento del mercato interno francese, e cosi via. La nuova Alitalia avrebbe certamente molto meno rispetto a queste percentuali. Sono fuori dal mercato in Germania e in Francia o siamo fuori dal mercato in Italia? Chi è attento al mercato e alla concorrenza dovrebbe – credo – piuttosto considerare un dato fondamentale diverso. Ed è che, a partire dall’anno prossimo, la vera concorrenza Italia su Italia a favore dei consumatori non sarà tra vettori aerei, ma tra aereo e treno, data la capacità del treno di assorbire su tratte intorno alle 3-4 ore quote significative dei volumi di traffico aereo, come su Londra-Parigi, Londra-Manchester, Parigi-Marsiglia e Madrid-Siviglia. Infine, si è detto e scritto, credo, troppo a proposito di conflitti di interesse, identificati anche extra ordinem, ovvero anche fuori dal vigente sistema legale. Credo che, a forza di vedere conflitti di interesse anche dove la legge li esclude, finiremo per essere un Paese che ha sempre più conflitti su cui litigare e sempre meno interessi su cui crescere. Grazie.

  • EIN/ResPublica Seminar - Facing the 2025 Challenge: EU options and solutions - Stresa

    Lo scorso 23 e 24 maggio, a Stresa, Fondazione Res Publica, in collaborazione con EIN, European Ideas Network (la rete europea di fondazioni politiche vicine al gruppo PPE-DE del Parlamento Europeo), ha organizzato un importante seminario per affrontare temi di attualità relativi a problemi di medio lungo termine che necessitano decisioni immediate: energia e ambiente, competitività e innovazione, crisi economico finanziaria che sta caratterizzando gli ultimi mesi. Circa duecento personalità europee ed italiane appartenenti al mondo dell’economia, del business e della politica, hanno partecipato agli incontri: il confronto tra diverse esperienze e diverse posizioni su questi importanti temi ha consentito di animare un dibattito internazionale. Durante la prima giornata di lavoro di venerdì sono stati approfonditi i tre temi in base ai lavori svolti sino ad allora dai tre gruppi di lavoro di EIN, mentre sabato tali tematiche sono state affrontate da una prospettiva italiana.

  • Intervento del Ministro Giulio Tremonti alla Camera dei Deputati per la discussione del D. Economico

    Pubblichiamo il testo dell’intervento del Ministro Tremonti, Presidente del nostro Comitato Scientifico, alla Camera dei Deputati il 17 Luglio 2008 in occasione della presentazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008: Sviluppo economico, semplificazione, competitività, stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria. Accedi al testo integrale: Intervento del Ministro Giulio Tremonti. Camera dei Deputati 17-07-08

  • Incontro con Francesco Gori

    Francesco Gori è stato protagonista dell’ultimo incontro di 59 minuti con… organizzato presso la sede della Fondazione. Il tema trattato è stato “Innovare per crescere”, aspetto fondamentale in una società competitiva e globalizzata. Pirelli Tyre, rappresenta oggi il quinto operatore mondiale in termini di fatturato nel mercato dei pneumatici, con ricavi che nel 2007 sono stati all’in circa pari a 4,2 mld di euro. La gran parte delle vendite di Pirelli Tyre si colloca in Europa dove avviene circa la metà delle vendite totali, del quale un quinto nella sola Italia. Importanti quote di mercato sono invece presenti in America Latina che copre il 30% circa delle vendite e America del nord. Negli ultimi anni la quota di Pirelli è ulteriormente cresciuta nelle quote di mercato a ritmi superiori rispetto ai principali competitors. Questa forza di Pirelli deriva tra l’altro dalla capacità in innovazione e nell’alto livello tecnologico raggiunto dai prodotti. L’entrata in nuovi mercati è necessaria per garantire la competitività dei prodotti, attraverso i minori costi di produzione possibili nelle economie in via di sviluppo. In particolare è la produzione del segmento “industry” ad essere principalmente prodotta in paesi in vi di sviluppo mentre per il segmento “customer” una grossa parte è ancora in produzione in Europa. Nei prossimi anni l’obiettivo è ampliare il mercato per esempio in Russia, ma le difficoltà si incontrano in quanto non è facile trovare persone competenti disposte a trasferirsi per seguire le fasi iniziali. In particolare, la chiave del successo di Pirelli va individuata nella forza del marchio dell’azienda affermatosi sia nello sport, che nella sua storia che, ultimamente, nella moda. Ma anche nell’aver saputo presidiare il proprio ruolo nel suo settore “core” lasciando marginalmente gli altri settori. La struttura del gruppo, organizzata a matrice, vede ancora la sede di Milano come sede centrale, affiancata dai coordinamenti regionali.

  • Incontro con Jacques Attali

    Durante l’incontro organizzato dalla Fondazione Res Publica, Jacques Attali ha svolto una riflessione sulle trasformazioni socio-economiche in atto nel nostro Paese e in Europa in generale e sul connesso tema delle riforme necessarie per affrontare tale cambiamento. In apertura, il Presidente della Fondazione ha ricordato l’attuale felice momento perché finalmente è possibile parlare di problemi e prospettive a lunga scadenza sulla base di autorevoli libri e pubblicazioni: • “La Paura e la speranza” – G. Tremonti; • Breve storia del futuro” – J. Attali; • Rapport de la Commission Attali; • “The world in 2025” – European Ideas Network. Situazione Generale. Secondo Attali, la situazione economica che stiamo attraversando non solo a livello europeo, ma a livello globale comporterà, secondo l’analisi fornita, una importante riduzione della crescita in Europa, con rilevanti conseguenze di tipo occupazionale e sociale. I governi al potere in questa fase così delicata non saranno in grado di far fronte a molte delle promesse elettorali e dovranno prendere decisioni impopolari che deluderanno inevitabilmente il proprio elettorato. Per coloro che devono affrontare le elezioni in questo periodo, è pertanto difficile immaginare un rinnovo della fiducia o una vittoria significativa sugli avversari. In questa prospettiva, un errore che i governi europei devono evitare è quello di promettere delle soluzioni a breve termine per problemi a lungo termine. L’unica via d’uscita per affrontare questa fase di recessione è quella di fissare degli obiettivi di lungo periodo e identificare i metodi per raggiungerli, tramite riforme profonde, urgenti, non necessariamente tutte previste nel programma del candidato premier e che non porteranno miracolistici effetti immediati. Sostiene Attali che non è sempre premiante inserire le riforme nel programma elettorale: essendo impopolari rischiano di influire negativamente sull’esito delle votazioni. Ma una volta vinte le elezioni, il capo del nuovo governo dovrà avviare le riforme prima possibile (come esempio, è stato citato il caso di Tony Blair, che ha avviato riforme significative che non aveva inserito nel programma elettorale). Le riforme. Per evitare che la situazione degeneri è necessario intervenire con riforme importanti. Le riforme – ha sostenuto Attali – non sono né di destra né di sinistra: sono giuste. Per questo egli ritiene che “la mano non deve tremare” : le riforme devono essere fatte, anche se impopolari. Anzi, in questo sta proprio la differenza tra il politico e lo statista: quest’ultimo infatti è in grado di assumersi il rischio di diventare impopolare nel giro di 24 ore. Il risultato della Commissione Attali istituita in Francia è che oggi una proposta su due elaborata dal think thank voluto da Sarkozy diventerà legge, nonostante il rischio di impopolarità (è stato citata a questo proposito, la riforma di liberalizzazione dei taxi). L’Italia e la Francia – sostiene Attali – condividono le stesse sfide per la competitività nel villaggio globale e molte delle proposte del piano Attali potrebbero essere prese in considerazione per l’Italia. Le infrastrutture. Per quanto riguarda le infrastrutture, ad esempio, per l’Italia sarebbe strategica la creazione di un grande porto. Il suggerimento di Attali parte dalla considerazione che già due volte nella storia l’Italia è stata una potenza mercantile dominante in Europa, con Venezia prima e Genova poi. Lo sviluppo di un porto importante per il Mediterraneo consentirebbe all’Italia di estendere le sue relazioni internazionali, poiché nel nuovo equilibrio economico mondiale gli Stati Uniti non sono più il baricentro del mondo, pesantemente spostato ad Oriente, e nuovi protagonisti sono entrati in gioco. La ricerca. In questo nuovo equilibrio, diventa fondamentale lo “scambio di cervelli” tra i Paesi: rilanciare le università è una delle principali sfide del domani. Già oggi l’India non riesce a soddisfare la domanda interna di ingegneri. L’impegno è quello di formare “cervelli del domani” europei, o comunque formati presso centri di eccellenza europei. L’Italia nello specifico ha dato al mondo una “classe creativa” importante che ha contribuito al progresso del Paese. Negli ultimi secoli ha ridotto il suo ruolo sulla scena mondiale, ma con un buon investimento nelle università potrà formare o accogliere scienziati, finanziatori, creatori d’impresa che oltre ad amministrare, saranno in grado di assumersi dei rischi con l’obiettivo della crescita e dello sviluppo. La finanza. Un’altra sfida importante per l’Italia è la creazione di una grande piazza finanziaria: ci sono tutti gli elementi perché Milano lo diventi. L’educazione. Tra le proposte della Commissione per la liberazione della crescita presieduta dallo stesso Attali, molto spazio assumono inoltre le riforme relative al sistema educativo, alla formazione degli insegnanti (dagli asili nido all’università), allo sviluppo della ricerca in biotecnologie e all’innovazione.Internet deve essere promosso in Francia come in Italia, perché si deve garantire l’accesso universale alla banda larga. La BEI. Un ruolo chiave in questo senso lo svolge anche la Banca Europea degli Investimenti, che dovrebbe finanziare più progetti di ricerca e innovazione nei nostri Paesi. Tali programmi di investimento nell’innovazione e nella tecnologia sono fondamentali per un Paese che deve competere con i nuovi giganti.

  • Seminario - Indipendenza energetica dell’Unione Europea: il ruolo del Mar Nero

    La dipendenza energetica dell’Unione Europea è al centro del dibattito politico in tutti gli Stati membri. Ecco alcuni dei punti focali del dibattito organizzato sul tema dalla Fondation pour L’innovation Politique (Fondapol). INDEPENDANCE ENERGETIQUE DE L’UE: L’ENJEU DE LA MER NOIRE Independance energetique de l’ue: l’enjeu de la mer noire Compte rendu du petit-déjeuner débat du 7 novembre 2007 à la Fondation pour l’innovation politique. Les contributeurs au débat Débat animé par Elvire Fabry, directeur du pôle Europe-International à la Fondation pour l’innovation politique. Avec la participation de: - Andreas Schockenhoff, membre du Bundestag, vice-président du groupe CDU-CSU, president du groupe d’amitié interparlementaire franco-allemand, coordinateur fédéral pour la collaboration germano-russe au niveau de la société, auteur du document de travail «Pour une politique régionale de l’UE autour de la mer Noire» publié par la Fondation pour l’innovation politique; - Agnija Rasa, membre du cabinet du commissaire européen en charge de l’énergie, Andris Piebalgs; - Alexandre Vulic, sous-directeur de l’Europe orientale au ministère des Affaires étrangères. Compte rendu des débats La dépendance énergétique de l’Union Européenne est aujourd’hui au coeur des préoccupations des Européens et elle le sera encore davantage s’il est vrai que, comme anticipé par l’Agence internationale de l’énergie, cette dépendance va passer de 50 % en 2000 à 70 % en 2030. Le débat engagé le 7 novembre à la Fondation pour l’innovation politique autour du thème «L’indépendance énergétique de l’Union Européenne : l’enjeu de la mer Noire» a toutefois fait émerger une autre notion, celle d’interdépendance : en effet, s’il est vrai qu’en Europe l’offre interne d’énergie diminue, alors que la demande ne cesse de croître, et que dans ce contexte la relation avec la Russie, notre principale fournisseur, devient de plus en plus importante et délicate, les intervenants ont en même temps souligné que cette relation de dépendance n’est pas à sens unique. La Russie n’a pas en effet, selon Alexandre Vulic (sous-directeur de l’Europe Orientale au ministère des Affaires étrangères), d’autres acheteurs crédibles, en matière d’énergie, que l’Union européenne, bien que, comme rappelé par le sénateur Montesquiou, elle essaie de s’ouvrir davantage à l’est (Chine, Corée, Japon). De plus, du fait du manque d’une véritable stratégie d’investissement dans les infrastructures, la Russie reste dépendante de l’Europe, pour ses technologies et la modernisation de son économie, et des pays d’Asie centrale, pour leurs réserves gazières. Dans ce contexte, la poursuite de vingt-sept politiques différentes à l’égard des pays producteurs comme des pays de transit pose aujourd’hui problème. Plusieurs initiatives ont ainsi été prises pour faire émerger une politique énergétique extérieure commune, qui permette à l’Europe d’assurer la sécurité de l’approvisionnement, comme témoigné par Agnija Rasa, membre du Cabinet du Commissaire Européen en charge de l’énergie. La Commission, suite notamment aux événements de janvier 2006, « quand l’Union Européenne a réalisé la fragilité de ses dépendances des approvisionnements extérieurs », a en effet proposé un ensemble de mesures concernant un large éventail de questions, telles l’efficacité énergétique, les énergies renouvelables, les technologies, la libéralisation du marché intérieur et la politique extérieure de l’énergie. En ce qui concerne la région de la mer Noire, l’UE dispose d’abord d’instruments bilatéraux: la politique de pré-adhésion avec la Turquie, les protocoles de coopération énergétique avec l’Ukraine et, avec la Russie, le dialogue énergétique sur les thèmes de l’efficacité énergétique et des échanges sur les stratégies énergétiques et sur le développement des marchés. Mais l’UE est aussi à l’origine de deux initiatives régionales : le processus de coopération pour les pays riverains de la mer Caspienne et la mer Noire et surtout la communauté de l’énergie, qui vise à étendre le marché intérieur du gaz et de l’électricité de l’Union Européenne au-delà de ses frontières. Initialement conçu pour les pays des Balkans, ce traité reste ouvert pour tout autre pays : l’Ukraine et la Moldavie ont ainsi demandé à en devenir partenaires, alors que les négociations continuent avec la Turquie. M. Vulic met toutefois en évidence les limites et les retards dans la construction d’une véritable politique européenne commune de l’énergie, critique qui émerge aussi dans les remarques faites par le public, notamment le Sénateur Montesquiou. Ce qui manque, selon M. Vulic, c’est une véritable politique extérieure de l’énergie, pour la gestion de la dépendance et fondée sur cinq éléments : 1. une stratégie qui synthétise les concepts touchant à la sécurité énergétique (transparence, ouverture, diversification, solidarité) et qui précise la stratégie européenne de sécurité de 2003, limitée pour le moment aux seuls aspects militaires; 2. un dispositif complet de sécurité énergétique à l’échelle de l’Union Européenne, pour gérer les crises, envisager des stocks, coordonner les mesures nationales; 3. le renforcement de l’efficacité énergétique, avec une approche interne mais aussi externe, notamment pour aider les pays voisins à moderniser leurs infrastructures énergétiques; 4. une discipline collective des politiques énergétiques nationales, y compris au niveau industriel; 5. un accès direct aux sources d’approvisionnement de l’Asie Centrale, afin de « diversifier cette dépendance avec de nouvelles routes d’approvisionnement ». Le problème, comme le souligne Mme Rasa, est que les traités ne fournissent de véritable base juridique que pour le marché interne, alors que la prise en charge des relations énergétiques extérieures reste limitée par les importantes relations bilatérales déjà développées par les États membres. Le traité réformateur apporte toutefois une première réponse, en introduisant deux éléments nouveaux : la solidarité entre les États et le développement des interconnexions énergétiques, afin de pouvoir réaliser cette solidarité. La proposition du parlementaire allemand Andreas Schockenhoff, à partir de laquelle la discussion avait été engagée, a toutefois une ambition qui va au-delà des simples questions énergétiques : la région de la mer Noire n’est en effet pas seulement une voie d’acheminement essentielle de ressources énergétiques, mais aussi une zone de transit stratégique pour le crime organisé, la traite des êtres humains, le trafic d’armes et de drogue et le terrorisme, ainsi que le théâtre de nombreux foyers de conflits (Transnistrie, Abkhazie, Ossétie du sud, Haut-Karabakh), qui constituent des défis considérables pour la stabilité et la sécurité de l’Europe. M. Schockenhoff plaide donc en faveur d’une politique régionale autour de la mer Noire, d’une coopération politique, économique et culturelle plus étroite, dans le domaine de l’énergie (notamment le développement des infrastructures et l’intégration des marchés), mais aussi de la coopération économique (en vue de la création d’une zone de libre échange), de l’environnement, de la coopération judiciaire et policière, des échanges dans la société civile (notamment avec l’assouplissement des conditions de circulation des personnes et la mise en place de programmes européens spécifiques) et enfin de la résolution des « conflits gelés » . Il s’agit donc de « dépasser les limites de la politique européenne de voisinage et d’étendre l’espace juridique européen » aux pays voisins, afin que l’Union européenne puisse jouer un rôle plus actif dans la région, non pas pour y projeter une stratégie globale, mais pour créer un effet de catalyseur, de synergie entre les initiatives existantes. Le cadre institutionnel serait caractérisé par ce que M. Schockenhoff définit comme une « approche ascendante à géométrie variable » sur des projets concrets, l’expérience de la BSEC (Black Sea Economic Cooperation) ayant montré les limites des décisions à unanimité. Bien qu’une approche régionale puisse présenter des avantages intéressants, les États restent tout de même les principaux interlocuteurs, car les finalités et le point de départ dans cette coopération pour chaque pays sont différents. Les trois intervenants s’accordent en effet sur la nécessaire complémentarité entre une approche régionale et l’engagement des États riverains de la mer Noire, en particulier: 1. Bulgarie et Roumanie: l’adhésion de ces deux pays à l’Union Européenne joue en faveur d’un rôle plus fort de l’UE dans la région. 2. Turquie: qu’il y ait adhésion ou partenariat privilégié, ce que les intervenants considèrent le plus probable, sa modernisation est dans notre intérêt commun. La Turquie est en effet notre allié ancien dans l’alliance atlantique, ainsi qu’un pays de transit absolument fondamental pour la sécurité énergétique. C’est donc une situation d’alliance stratégique que nous devons rechercher, par exemple en soutenant le projet Nabucco. 3. Russie: bien que partenaire de plus en plus exigeant, maintenant qu’elle a retrouvé une nouvelle assurance sur la scène internationale, elle reste importante par sa taille, son poids économique et militaire, ses richesses énergétiques et son potentiel économique. Russie et Union Européenne se trouvent certes dans une situation de concurrence, économique, mais aussi de modèle politique, dans ce que les Russes appellent « l’étranger proche » et nous le « voisinage », mais ceci n’est pas un obstacle à un partenariat privilégié, basé sur des valeurs communes et qui s’exprime aussi par une politique extérieure commune dans la région. Il ne faut donc pas négliger la demande de la Russie d’être associée en amont, notamment sur les questions économiques, les infrastructures, le terrorisme, la criminalité, l’immigration et l’environnement, tout en sachant qu’on ne pourra pas l’associer à tout et de manière trop anticipée. Le dialogue avec la Russie est essentiel pour assurer la sécurité énergétique de l’Europe, notamment pour les pays du centre et de l’est européen, qui dépendent parfois à plus de 80% du gaz russe. 4. Ukraine: la coopération avec ce pays et avec les autres de la région n’est pas freinée par les exigences européennes en matière de démocratie, état de droit, liberté d’opinion, droits de l’homme et renforcement de la société civile (contrairement à ce qui arrive avec certains pays du sud de la Méditerranée, ce qui distingue ce projet de celui de l’Union méditérannéenne). Les pays de la région sont en effet déjà tenus par les engagements pris dans le Conseil d’Europe et aussi incités par la perspective d’une plus grande intégration à l’UE, voire de l’adhésion. L’Ukraine a explicitement exprimé une stratégie de rapprochement avec l’Union Européenne dans tous les domaines et il est dans l’intérêt de l’Union de conforter cette évolution, notamment par le soutien à la modernisation de ses infrastructures énergétiques et de stockage du gaz. 5. Asie centrale: dans cette région, « les cartes sont en train de se redistribuer»: en mai, à l’occasion de l’accord de Turkmenbachi avec la Russie pour l’organisation du marché gazier, Turkmènes et Kazakhs ont ouvert une porte à l’Union Européenne, afin de ne pas s’enfermer dans une relation avec la Russie et nous avons tout intérêt à leur prêter attention, notamment en développant les infrastructures nécessaires et un climat juridique favorable aux investissements. En ce qui concerne les conflits gelés, la clé est certes à Moscou, mais l’Union peut tout de même aider et accompagner un éventuel accord, à travers l’action des représentants spéciaux, des opérations de gestion de crise ou de maintien de la paix, des mesures de confiance. L’intervention du public a enfin contribué à faire émerger des thématiques qui n’avaient pas été abordées ou assez approfondies dans les exposés : 1. la nécessité d’une réflexion sur le recours à l’énergie nucléaire civil pour la région mer Noire, afin de diversifier les sources d’approvisionnement énergétique; 2. l’importance de pousser l’Iran à être un partenaire fiable de la communauté internationale, notamment pour les opportunités qu’une relation avec ce pays peut avoir pour les grandes entreprises européennes du gaz liquide; 3. la relation avec les États-Unis, qui ont dans la région des intérêts différents des ceux de l’Union Européenne, plus centrés sur des questions de sécurité, et la nécessité d’aborder ses questions aussi sous un angle transatlantique. Réactions au débat Le débat avec le public n’ayant pas permis à tous de s’exprimer, Başak Yalçin, Premier Secrétaire de l’Ambassade de Turquie, a tenu à nous faire part des remarques suivantes: « Suite aux remarques de M. Aita, rédacteur en chef du Monde diplomatique-édition arabe, qui évoquait le danger de perdre la Turquie en mettant en question sa perspective d’adhésion à l’UE et en sympathisant avec les activités terroristes du PKK, M.Schockenhoff a réagi en notant que la Turquie n’adhérait pas à l’héritage culturel et identitaire commun à l’Europe et que par conséquent la perspective d’adhésion n’était pas une éventualité. Justement, c’est tout à fait cette réponse qui risque d’éloigner davantage la Turquie. Dire qu’il est « différent et autre » à un pays européen engagé dans des relations exceptionnelles avec l’UE depuis presque cinquante ans est plutôt tardif. Je tiens à rappeler, par votre intermédiaire, à M. Schockhenhoff que la question de la prétendue «différence culturelle» de la Turquie n’était guère évoquée lorsqu’elle est devenue membre de l’OTAN, du Conseil de l’Europe, de l’OCDE, de l’OSCE et surtout elle ne l’a pas été au lancement des négociations d’adhésion avec l’UE le 3 octobre 2005. Il faut également se rappeler que la politique de l’UE en ce qui concerne la culture est basée sur le principe de «l’unité dans la diversité» et qu’il n’y a pas de définition d’une culture commune européenne. Pour l’opinion publique turque et heureusement pour beaucoup d’Européens, il est clair que la Turquie appartient à l’Europe, fait partie intégrante du système européen des valeurs démocratiques et peut apporter en Europe une contribution importante au dialogue et à l’harmonie entre les cultures. C’est pour cette raison que je crains que l’intégration européenne demeure inachevée sans l’adhésion de la Turquie à l’UE».

  • Res Publica partecipa ai Golden Umbrellas dello Stockholm Network

    Il 5 dicembre 2007 a Londra si è tenuta la consegna dei premi “Golden Umbrellas”, organizzata dalla Fondazione Stockholm Network. All’evento hanno partecipato esponenti di Fondazioni e Think Tanks di oltre 40 Paesi.

  • Seminario - Una nuova politica energetica per l'Italia

    Seminario sul tema della politica energetica con la partecipazione dell’Amministratore Delegato di Edison, Umberto Quadrino. Considerazioni macroeconomiche Per parlare di energia è necessario valutare diversi fattori: Oltre 1,6 miliardi di persone al giorno d’oggi non hanno accesso all’energia elettrica: dal momento che la vita moderna non può prescindere dall’energia, è logico pensare che la domanda sia destinata a crescere significativamente nei prossimi anni; Analizzando i trend storici dei tassi di crescita della domanda di energia si può notare come a fronte di un incremento di un punto percentuale del prodotto interno lordo, la domanda di energia cresca di circa lo 0,6%; L’aumento della domanda di energia di Cina e India è complessivamente del 6% annuo. Principali metodi di produzione di energia nucleare; carbone; petrolio; gas; rinnovabili (principalmente idroelettrico, eolico, fotovoltaico e biomasse). Non prendiamo in considerazione l’idrogeno, in quanto le tecnologie che consentono un suo sfruttamento come fonte energetica non sono attualmente disponibili e potrà probabilmente essere preso in considerazione solamente tra qualche decina d’anni. La politica energetica di un paese è dunque basata sulla scelta di un mix di questi cinque tipi di fonti di energia, tenendo in considerazione: l’impatto ambientale; i costi di produzione; la sicurezza degli approvvigionamenti; Durata delle risorse naturali e tecnologie di generazione elettrica Petrolio: la durata delle riserve di petrolio è un tema molto dibattuto. L’ultimo giacimento “gigante” è stato scoperto circa 10 anni fa, ma si stanno moltiplicando le iniziative in esplorazione, incentivate anche dall’alto prezzo del greggio, per portare alla luce potenzialità al momento inespresse. Tutti gli osservatori sono tuttavia concordi nel ritenere che le risorse di petrolio siano destinate a terminare. Inoltre, oltre il 60% delle riserve mondiali sono situate in Medio Oriente. Gas naturale: per il gas la situazione è decisamente migliore, anche se molte riserve si trovano in Paesi politicamente instabili. I cicli combinati a gas sono peraltro la tecnologia termoelettrica più efficiente (56-57% rispetto a un 39% di una centrale tradizionale) ed eco-comaptibile (emissioni di CO2 inferiori del 50% rispetto a una centrale a carbone) oggi disponibile. Va inoltre considerato che Medio Oriente e la Russia detengono oltre il 60% delle riserve mondiali, dato che fa sì che oggi il mercato sia in mano ai produttori. Carbone: la disponibilità di carbone è maggiore ed è presente in un numero maggiore di Paesi rispetto agli idrocarburi. Inoltre, il costo del carbone negli ultimi mesi è cresciuto significativamente, spinto soprattutto dall’incremento della domanda nei Paesi asiatici e, soprattutto, durante la combustione il carbone emette grandi quantitativi di CO2 (il doppio di un ciclo combinato a gas naturale), ritenuta fra i principali responsabili dell’effetto serra e dei mutamenti climatici. Se da un lato quindi le centrali a carbone contribuiscono a diversificare le fonti energetiche, dall’altro la loro convenienza economica è destinata a calare in quanto il costo di generazione dovrà inglobare il costo dell’impatto sull’ambiente, delle emissioni. Nucleare: anche l’uranio, in base alle attuali tecnologie, è destinato a terminare in qualche decina di anni. La generazione elettrica basata su questa fonte non emette peraltro CO2 e il costo di produzione è competitivo rispetto alle altre fonti, anche tenuto conto dei costi di gestione delle scorie e del decommissioning. Rinnovabili: non emettono anidride carbonica e vanno quindi incentivate il più possibile. Ma, anche sfruttando al massimo le attuali tecnologie, le fonti rinnovabili arriverebbero a contribuire ad una quota prossima al 20% del fabbisogno mondiale nel 2030. Le rinnovabili non possono quindi soddisfare completamente l’incremento della domanda energetica. Inoltre i costi di produzione sono decisamente superiori a quelle delle altre fonti: rispetto a un ciclo combinato a gas, l’eolico costa il 20% in più, il fotovoltaico addirittura il 600%. La proposta della Commissione Europea per il 2020: Aumentare il risparmio energetico del 20%; Aumentare al 20% l’incidenza delle fonti rinnovabili sul mix produttivo; Ridurre le emissioni di CO2 del 20%. Si tratta di obiettivi molto ambiziosi da raggiungere. In generale, per ridurre i consumi del 20% è necessaria una riduzione dei consumi di circa l’1% annuo, dato in contrasto con i trend storici menzionati in apertura. Ma il risparmio energetico è uno strumento fondamentale da perseguire e su cui è ancora necessario investire molto, ad esempio: sostituire tutte lampadine di vecchia generazione con quelle a basso consumo (consumano 20% in meno); coibentare tutte le abitazioni: questo è fattibile per i nuovi immobili, ma come intervenire sulle vecchie abitazioni?. Per arrivare alla sostituzione/coibentazione integrale sarebbe necessario intervenire a livello normativo con divieti accompagnati da forti incentivi (ad esempio: dichiarare illegali le precedenti lampadine e abitazioni obbligando tutti al cambiamento). Anche l’incremento dell’incidenza delle rinnovabili sul mix energetico al 20% è un obiettivo molto sfidante. Il potenziale dell’idroelettrico è infatti già quasi interamente sfruttato, quindi l’eventuale incremento del suo utilizzo è molto modesto. L’energia eolica ha buone potenzialità e le aziende, come Edison, stanno investendo significativamente su questa risorsa. Il suo sviluppo è tuttavia vincolato alla ventosità e purtroppo l’Italia è un paese poco ventoso e poche sono le zone utilizzabili a questo scopo.. L’energia fotovoltaica, con le attuali tecnologie, oltre ad essere legata al numero di ore di sole richiede l’utilizzo di ampie superfici. L’approvvigionamento delle biomasse, infine, può avvenire tramite due modalità: importazione o coltivazione. Nel secondo caso, si è stimato che per rispondere alle richieste dell’Unione Europea sarebbe necessaria una superficie di coltivazione pari a 6 volte la superficie della Svizzera. Inoltre, si sono già registrate tensioni sui prezzi delle derrate alimentari, derivanti dalla concorrenza fra coltivazioni per uso alimentare e per uso “industriale”. Infine, per ridurre del 20% le emissioni di CO2 è necessario investire su quelle tecnologie a basse o nulle emissioni. Come abbiamo visto, le uniche tecnologie “carbon free” sono le rinnovabili e il nucleare, mentre fra quelle termoelettriche “tradizionali”, il gas è di gran lunga preferibile al carbone, tanto che, se volessimo rispettare questi obiettivi, non solo non dovremmo varare nuovi investimenti in centrali a carbone, ma addirittura dovremmo chiudere quelle esistenti. Non esiste una soluzione unica e il nucleare non è La soluzione, ma probabilmente non c’è una soluzione senza prendere in considerazione anche il nucleare. Ma per questo serve un dibattito non ideologicizzato e una seria riflessione di politica energetica Politica Energetica È un tema difficile da affrontare. Sicuramente, nel settore dell’energia non può essere il mercato l’unico arbitro perché le sue logiche sono sempre di breve-medio periodo mentre le decisioni di investimento degli operatori energetici abbracciano archi temporali più lunghi, addirittura fino ai 40 anni. Ad esempio, per poter cambiare il mix energetico di un Paese serve un arco temporale di almeno 15-20 anni. L’Italia ha appena concluso un nuovo ciclo di interventi, il più importante in Europa, che ha portato alla realizzazione di nuova capacità produttiva per circa 20 Gigawatt, prevalentemente basata sui cicli combinati a gas. Il problema più imminente per l’Italia oggi è quindi quello delle grandi infrastrutture per importazione del gas, oltre all’acquisto di tale materia prima a prezzi competitivi. L’Italia è il primo investitore europeo in energia Investimento in nuova capacità produttiva: Italia: 20.000 MW; Spagna: 6.000 MW; Francia: 1.300 MW. Sicurezza dell’approvvigionamento Il gas naturale europeo è localizzato prevalentemente nel mare del Nord ma i giacimenti sono in esaurimento. Si stima che nei prossimi 15 anni vi sarà una riduzione della produzione di gas naturale di circa 100 miliardi di metri cubi, a fronte di un aumento della domanda di 100/150 miliardi di metri cubi: ne deriva che l’Europa avrà bisogno di importare circa 250 miliardi di metri cubi di gas in più. Da dove potrà provenire tutto questo gas? È incerto se la Russia, che oggi soddisfa circa il 30% del fabbisogno europeo, potrà effettivamente far fronte a tutte le ulteriori richieste di gas dall’estero, considerando che anche la domanda interna russa dovrebbe aumentare. Nel 2008-2009 è comunque previsto un aumento della capacità produttiva del Gasdotto TAG tra Italia e Russia per complessivi 13 miliardi di metri cubi all’anno. Altro fornitore tradizionale è l’Algeria, che copre circa il 30% del fabbisogno italiano e con cui Edison sta sviluppando un nuovo gasdotto, Galsi, che nel 2012 consentirà di importare 8 miliardi di metri cubi all’anno (2 dei quali appannaggio della stessa Edison). Nel 2008-2009 entrerà inoltre in funzione il potenziamento del gasdotto TTPC, per complessivi 13 miliardi di metri cubi (di cui Edison ne ha contrattualizzati 2). Ma per incrementare la sicurezza degli approvvigionamenti è necessario diversificare le fonti di approvvigionamento e costruire nuove infrastrutture. Edison è impegnata nella costruzione del rigassificatore di Rovigo, il primo al mondo offshore, che dalla fine del 2008 porterà in Italia gas dal Qatar (6,4 miliardi di metri cubi all’anno), Paese sino a oggi non collegato con l’Europa. Infine, Edison sta realizzando il gasdotto che collegherà l’Italia alla Grecia e, attraverso la Turchia, alle aree del Mar Caspio dove si trovano grandi riserve di gas. Il sistema dei gasdotti, chiamato ITGI, sarà pronto nel 2012 e Edison sta trattando con l’Azerbaijan le forniture di gas, anche in questo caso le prime che arriveranno in Europa da questo Paese. La debolezza dell’Italia è inoltre sull’upstream. Purtroppo, come nel Mare del Nord, anche la produzione di idrocarburi in Italia sta calando. In Italia potrebbe essere utile, al fine di stimolare e indirizzare i nuovi investimenti, una nuova legge obiettivo in materia energetica. È importante utilizzare e massimizzare ciò che esiste; È necessaria una riflessione concreta e non ideologica sul nucleare. Però, se si intraprende la via del nucleare, serve un progetto serio. Non basta la realizzazione di una centrale “simbolica” che non risolverebbe i problemi del Paese, non potrebbe sfruttare le economie di scala associate allo sviluppo di un parco di centrali e non sarebbe sufficiente per incidere sul mix energetico italiano. Una centrale mediamente ha infatti una potenza di 1.000 Megawatt, ma per poter incidere sul mix è necessaria una capacità installata di almeno 10.000 Megawatt. Realizzare un programma nucleare è un obiettivo raggiungibile solo se vengono coinvolti tutti gli stakeholder, viene fatta una adeguata campagna di comunicazione sugli effettivi benefici e sui costi e si sviluppa un progetto credibile, dall’identificazione dei siti alla gestione delle scorie. Conclusioni: Kyoto è un problema reale che riguarda tutto il mondo e anche gli Stati Uniti stanno avviando iniziative di in materia di CO2; La modifica del mix energetico richiede decenni, è quindi necessario decidere adesso quale debba essere il futuro energetico; È necessario intervenire sul mix energetico; Il carbone non rappresenta una soluzione perseguibile; L’energia rinnovabile è oggi molto costosa e tale costo si rifletterebbe sui consumatori finali; Il costo del gas è cruciale per la determinazione del prezzo dell’energia; Non è detto che la Russia sia in grado di soddisfare la crescente domanda di gas europea; Bisogna controllare tutta la catena produttiva; Il costo di trasporto incide pesantemente sul prezzo finale, quindi nella scelta della localizzazione delle infrastrutture bisogna tenerne conto; L’Italia ha la possibilità di diventare un HUB energetico a patto che trovi fonti di approvvigionamento convenienti; La carenza di gas in Italia sarà risolta a partire dal prossimo inverno; È importante considerare il ruolo strategico del nucleare sia intermini di impatto ambientale che in termini di costi.

  • Seminario sul contesto politico ed economico - Cadenabbia

    L’incontro del 21-22 settembre scorso a Villa Adenauer si è aperto sulla constatazione che nell’attuale fase politica vi è un chiaro logoramento nell’esercizio del potere da parte del Governo centrale, il che finisce per erodere le basi della democrazia rappresentativa. In tale contesto, l’economia è sempre meno l’elemento discriminante all’interno della dialettica politica italiana. In larga parte ciò è dovuto alla comunanza delle agende economiche comuni nei vari Paesi UE che, nonostante alcune perduranti differenze di fondo, esclude alla radice che il confronto politico possa davvero interessare modelli economici tra loro alternativi. Etica ed Economia. È difficile, ad esempio, che oggigiorno si ritrovi una formazione politica capace di definirsi sinceramente antiliberista, salvo casi drastici che tuttavia si collocano ai margini del dibattito politico. Se in più si aggiunge che la crescita economica da diverso tempo è comunque contenuta, è evidente che non sarà nell’economia che si potrà trovare il vero discrimine politico, quanto in visioni profonde della società. Volendo catturare in una formula l’intero fenomeno, si potrebbe dire: meno materia e più spirito. Evocando paradigmi storico-culturali, la partita si gioca tra Parigi e Roma. Come a significare una contrapposizione tra razionalismo “illuminista” e spiritualità cristiana, in un confronto sui principali temi che compongono una visione della società. Oppure ancora tra Londra e Roma, enfatizzando una visione mercatista (quella anglosassone) e una visione spiritualista (quella romana). È importante la quantità di potere necessaria per introdurre termini complessi. La dividente è nel momento dei valori: “se hai valori fai l’Europa Politica”. Nel soffermarsi sulla dialettica tra spiritualità ed economia, occorre peraltro affrontare quella che a lungo – e a torto – è stata considerata un’antinomia tra economia da una parte e morale dall’altra. L’antinomia, tuttavia, è solo apparente, poiché è il frutto di un duplice errore alquanto diffuso. L’antinomia è falsa sul piano storico, visto che l’economia nasce abbracciata all’etica negli ambienti della neoscolastica cristiana. E lo è sul piano concettuale, perché è falsa l’idea che l’economia contenga una polarità, e che quest’ultima sia in contrasto con la morale. Il disamoramento per la politica – oltre che analizzando la crescente complessità e codificazione del suo linguaggio – si può spiegare sciogliendo l’apparente antinomia tra etica ed economia. La disaffezione è infatti riconducibile, da un lato, alla riduzione dell’azione politica al tentativo materialista di soddisfare istinti, bisogni e passioni dell’uomo, tralasciandone la sfera spirituale; dall’altro, alla scarsa efficacia con cui, in ogni caso, tali istinti bisogni e passioni sono soddisfati. Ciò tradisce le aspettative nella politica, generando una crisi di sfiducia. Una scelta politica potrà quindi dirsi “immorale” se il mezzo utilizzato per risolvere il problema è inappropriato in questa duplice prospettiva. Tuttavia, sfugge ancora l’esatta composizione dei potenziali interlocutori. Tra questi, le statistiche e la realtà empirica ci rivelano che, accanto alla classe media che rappresenta i tradizionali valori familiari è presente, in misura crescente, una nuova realtà sociale che privilegia un approccio “nucleare”, individualista ed edonista. Occorrerà dunque guardare anche a tale realtà sociale, per interpretarne nella maniera più adeguata le esigenze. In particolar, se la partita – dunque – si gioca sul piano dei valori, occorrerà sviluppare sempre più forme di “privato sociale”, e coinvolgere i singoli operatori economici nelle questioni etiche di fondo, con un approccio che veda al centro il concetto di libertà in termini di responsabilità individuale e relazione del singolo con la società. Scenario economico attuale e Finanza pubblica. La situazione economica attuale, dipinta a tinte fosche sui giornali, è la risultante di fattori noti: i cambiamenti strutturali indotti dall’introduzione dell’Euro, l’allargamento a Est della UE, l’affermazione di Cina e India, gli sviluppi rapidissimi dell’informatica e – specificità italiana – l’assenza di comunicazione con un sindacato in parte ancora arroccato su posizioni ideologiche e anti-storiche. Come considerazione di fondo, quando le analisi ufficiali si soffermano sul PIL italiano, questo offre peraltro un’immagine in parte riduttiva della nostra economia, visto che il ruolo delle “holding”, e delle “trading companies” di gruppi italiani all’estero non è preso in considerazione. Anche le dinamiche di produttività delle circa 600 medie aziende che rappresentano la struttura di fondo del nostro sistema industriale sono buone. Più in generale, sul fronte dell’occupazione la nostra economia si caratterizza per una bassa disoccupazione mentre le note dolenti arrivano dal fronte della produttività, in particolare dal costo del lavoro per unità di prodotto, appesantito da norme comunitarie sull’orario di lavoro e sulla regolazione a termine che non sono recepite correttamente. Quanto alla crisi “subprime” di questi giorni, è vero che lo scopo di larga parte delle cartolarizzazioni di cui si legge sui giornali è la parcellizzazione del rischio di credito. Questo però non toglie che gli operatori bancari hanno perso la capacità di valutare correttamente il credito stesso, e che questo fenomeno stia creando grossa sfiducia sui mercati finanziari (fino a poco fa cosciente unicamente dei maggiori interessi su titoli cartolarizzati, ma non dei maggiori rischi a questi connessi) e tra gli stessi operatori finanziari. In questo momento, è inoltre alquanto spiacevole l’abitudine di questo governo di ritoccare stime deliberatamente fatte in maniera pessimistica, in modo da sfruttare l’”effetto tesoretto”: così facendo non si dà un quadro attendibile di come le cose stanno davvero. Il governo sta approntando alcuni “pacchetti” per accattivarsi interlocutori differenti: pacchetto IRES per le imprese (che, pur avendo alcuni elementi condivisibili come la razionalizzazione dell’imposizione sui redditi, finirebbe per auto-neutralizzarsi per colpa dell’allargamento di base imponibile), due pacchetti “famiglia” (quello Bindi e quello del governo), pacchetto “welfare” (finanziato dall’aumento contributivo a carico dei lavoratori parasubordinati).

  • EIN Summer University 2007 - Varsavia

    Il tradizionale appuntamento di European Ideas Netwrk (EIN), ormai alla sua sesta edizione, offre l’occasione per una riflessione culturale e politica di ampio spettro in occasione della riapertura delle attività. tema della Summer University: Facing the challenges of tomorrow. L’evento sarà preceduto dagli interventi, relativi alle sfide per il 2025, di esperti tra i quali: José María Aznar, già Primo Ministro Spagnolo; José Manuel Barroso, Presidente della Commissione Europea; Garry Kasparov, United Civil Front, Russia; Craig Mundie, Chief Research and Strategy Officer of Microsoft; Jeremy Rifkin, autore di ‘The European Dream’ e ‘The Hydrogen Economy’; Ernest-Antoine Seillière, Presidente di ‘BusinessEurope’; Mirek Topolánek, Primo Ministro della Repubblica Ceca; Donald Tusk, leader di Civic Platform in Polonia; Lech Walesa, già Presidente Polacco. Il dott. Stefano Riela e il Presidente Eugenio Belloni hanno partecipato per Fondazione ResPublica.

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