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- News - Emissioni di gas serra: meno 0,7% nell’Unione Europea
L’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) ha pubblicato la relazione comunitaria annuale sull’inventario dei gas a effetto serra. La relazione, intitolata “Annual European Community Greenhouse gas inventory 1990-2005 and inventory report 2007” (“Inventario annuale dei gas a effetto serra della Comunità europea 1990-2005 e relazione sull’inventario 2007”) è stata presentata al Segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) il 27 maggio 2007 come contributo ufficiale della Comunità europea. In base alla relazione, le emissioni dei gas a effetto serra responsabili dei cambiamenti climatici sono diminuite dello 0,7% tra il 2004 e il 2005 nell’UE-27. Il commissario Stavros Dimas, responsabile per l’ambiente, ha così commentato i risultati positivi: “È incoraggiante constatare che continuiamo a ridurre le emissioni anche mentre l’economia europea è in forte crescita, ma è evidente che, per permettere all’Ue di conseguire il suo obiettivo di riduzione fissato nel protocollo di Kyoto, molti Stati membri dovranno intensificare notevolmente gli sforzi per contenere le emissioni. A marzo i leader europei hanno adottato obiettivi di riduzione delle emissioni a lungo termine: non vi è quindi più alcuna ragione di attendere, ma occorre invece intraprendere iniziative coraggiose per portare a termine i necessari cambiamenti strutturali nel modo di produrre e consumare energia, al fine di rendere permanenti e sempre più consistenti le riduzioni delle emissioni”. I punti chiave della relazione definitiva. Ue-15: le emissioni di gas serra sono diminuite dello 0,8% (35,2 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti) tra il 2004 e il 2005, prevalentemente grazie alla riduzione dello 0,7% (26 milioni di tonnellate) delle emissioni di CO2. UE-15: le emissioni di gas serra sono diminuite nel 2005 del 2,0% rispetto all’anno di riferimento indicato nel Protocollo di Kyoto (per l’UE-15 è il 1990 per la maggior parte dei gas serra, ma per i gas fluorurati quasi tutti gli Stati membri utilizzano come anno di riferimento il 1995). Ue-15: le emissioni di gas serra sono diminuite del 1,5% tra il 1990 e il 2005. Ue-27: le emissioni di gas serra sono diminuite dello 0,7% (37,9 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti) tra il 2004 e il 2005. Ue-27: le emissioni di gas serra sono diminuite del 7,9% rispetto ai livelli del 1990. Paesi dell’Ue-15 in cui le emissioni sono diminuite maggiormente. I paesi che maggiormente hanno contribuito, in termini assoluti, alla riduzione delle emissioni nell’Ue-15 sono Germania (-2,3%, pari a 23,5 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti), Finlandia (-14,6%, per un totale di 11,9 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti) e Paesi Bassi (-2,9%, pari a 6,3 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti). In questi paesi il calo è stato possibile grazie alla riduzione delle emissioni di CO2. Gli altri paesi dell’Ue-15 che hanno registrato una riduzione delle emissioni tra il 2004 e il 2005 sono i seguenti: Belgio, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Svezia e Regno Unito. Tra i nuovi Stati membri, la Romania ha ottenuto i risultati migliori con una riduzione delle emissioni del 4%, pari a 6,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti. Paesi dell’Ue-15 in cui le emissioni sono aumentate maggiormente. In termini assoluti è la Spagna il paese in cui le emissioni di gas a effetto serra sono cresciute di più tra il 2004 e il 2005 (+ 3,6%, pari a 15,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti), aumento imputabile prevalentemente alla produzione di energia elettrica e di calore. Gli altri paesi dell’Ue-15 che hanno registrato un incremento delle emissioni tra il 2004 e il 2005 sono: Austria (2,3%, pari a 2,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti), Grecia (1,2%, pari a 1,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti), Irlanda (1,9%, pari a 1,3 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti), Italia (0,3%, pari a 1,7 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti) e Portogallo (1%, pari a 0,9 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti).
- Incontro con Sergio Romano
Sergio Romano, ambasciatore e storico, a “59 minuti con…” racconta gli ultimi sviluppi e le radici storiche del conflitto arabo-israeliano. Martedì 5 febbraio ha avuto luogo un altro dei consueti appuntamenti dell’iniziativa della Fondazione “59 minuti con…” che avvicina i giovani imprenditori a personalità del mondo sociale ed economico. In questa occasione, Sergio Romano, ha spiegato che secondo lui il conflitto scoppiato a Gaza alla fine del 2008, dopo un lungo periodo di attacchi da parte di Hamas, ha avuto sicuramente anche motivazioni politiche in vista delle elezioni per il governo di Israele. Questo conflitto si inserisce pienamente nella tipologia delle guerre del XX secolo che hanno visto un coinvolgimento sempre maggiore delle popolazioni civili, le quali vengono sollevate verso i governanti e si combatte per indebolire il fronte interno. Cominciare un’offensiva prima di un grande evento mediatico quale l’insediamento del nuovo presidente statunitense Obama ha permesso a Israele di chiudere velocemente le polemiche sulla guerra e sull’eccesso di forza utilizzata. Ma in una guerra asimmetrica, quando il grande non vince – come in questo caso – è il piccolo a vincere; Israele, con il suo attacco, ha legittimato Hamas come interlocutore e autorità del territorio palestinese. Israele è certamente un’anomalia all’interno dell’area medio-orientale; se confrontato con i vicini, è una democrazia, seppure molto frammentata e che necessita di ampie coalizioni per garantire la governabilità. Il paese inoltre si trova in una situazione difficile non solo politica ma anche demografica. Nella Palestina mandataria vivono circa 11 milioni di persone (5,5 milioni di arabi e 5,5 milioni di ebrei), mentre un milione di arabi vive addirittura all’interno dello Stato ebraico e, nonostante godano formalmente degli stessi diritti dal punto di vista sostanziale, sono comunque discriminati rispetto ai cittadini israeliani. Secondo Romano, una strategia vincente per Israele sarebbe sostenere il governo di Abu Mazen in modo da legittimarlo nei confronti di Hamas agli occhi delle popolazioni. La presenza di Israele in Medio Oriente è da considerarsi altresì anomala perché è uno Stato connotato da una religione; alla proclamazione dello Stato ebraico in Italia il sostegno era stato quasi unanime, da un lato in quanto la sua costituzione era una rivisitazione delle pretese nazionalistiche sperimentate anche dal nostro Paese durante il risorgimento, dall’altra pesava fortemente sulla coscienza europea la tragedia dell’Olocausto. Al tempo non si considerò però che non si costituiva lo Stato di Israele ma lo stato degli ebrei in un’area islamica. E’ interessante vedere quale ruolo ha l’Iran in questa vicenda. Non bisogna ritenere che Hamas sia un braccio dell’Iran e quindi considerare questa guerra un conflitto “per procura” tra quest’ultimo e gli Stati Uniti (che sono tra i principali finanziatori di Israele a cui destinano circa 5 Mld di dollari l’anno spesi per la gran parte nell’industria bellica, con ingenti forniture provenienti dagli stessi Stati Uniti). I rapporti tra Israele e l’Iran possono essere buoni: l’Iran non è antisemita ma antisionista (anzi circa 20.000 ebrei vivono nel Paese ed hanno diritto ad un rappresentante in Parlamento) e i rapporti durante il regno dello Scià erano ottimi. L’affermazione di Ahmadinejad alle elezioni è stata una conseguenza della delusione per il governo di Khatami eletto nel 1997 come il grande riformatore. Il presidente attuale appartiene alla generazione della guerra con l’Irak dell’88, ed è il primo presidente non chierico dell’Iran post-rivoluzione del 1979, quindi si serve degli Ayatollah per legittimarsi. La società civile iraniana oggi appoggia il programma nucleare di Ahmadiejad; l’Iran infatti è molto ricco ma non possiede la tecnologie di raffinazione (tipicamente americane, ma colpite dall’embargo) e quindi è costretto a importare benzina e carburanti. Da un punto di vista economico l’Iran potrebbe aver diritto a sviluppare il nucleare e anche dal punto di vista militare, in quanto circondato da Paesi “nucleari” (Israele, India, Russia e ora gli americani in Irak e Afghanistan). Più paesi con una dotazione nucleare sono evidentemente un rischio, ma va considerato che l’arma nucleare non si usa in attacco; il primo Paese che dovesse usarla sarebbe immediatamente annientato dalla comunità internazionale. Ci si dota dell’arma nucleare per guadagnare più peso e potere geopolitico e negoziale. Neanche il vicino Irak sembra essere stabilizzato. Dopo Saddam Hussein, che in quanto sunnita rappresentava una garanzia di unità del Paese, adesso il governo degli sciiti difficilmente potrà tenere insieme i sunniti sconfitti e dei curdi che hanno ambizioni indipendentiste finora domate con aiuti statunitensi. In questo contesto, un Paese che oggi si colloca al guado tra Occidente e Oriente è la Turchia. Fino a poco tempo fa si pensava che il partito del presidente Gül e del premier Erdogan, sebbene islamico, fosse sufficientemente laico per traghettare la Turchia in un’Unione Europa che, a partire dal secondo dopoguerra e soprattutto negli ultimi anni, ha contribuito ad alimentare la speranza di adesione. Oggi la Turchia si è forse resa conto che l’UE non è pronta e forse non vuole accoglierla (con posizioni fortemente contrarie di paesi come Francia e Austria) e che i lunghi negoziati sono solo un rimandare la questione a tempi da definire. La netta presa di posizione del premier turco contro Israele espressa ultimamente a Davos sembra quindi un segnale da parte della Turchia a porsi come paese chiave a guida del mondo islamico.
- Incontro con Michele Perini
Lo scorso 9 settembre si è tenuto l’incontro inaugurale di “59 minuti con” il nuovo progetto della fondazione Res Publica, che mira a riunire intorno a un tavolo giovani imprenditori e protagonisti del mondo sociale e industriale italiano. Il relatore del primo incontro è stato Michele Perini presidente di Fiera Milano Spa. Nel corso dell’intervento si è dibattuto sull’importanza di Fiera Milano, seconda al mondo solo ad Hannover, sia per il paese sia, con 5 milioni di visitatori l’anno, per l’area milanese. La mancanza di infrastrutture di collegamento adeguate, in parte previste ma non ancora realizzate, rappresenta una sfida da portare a termine in tempi rapidi per il definitivo successo di Fiera Milano. L’occasione dell’Expo 2015 è quindi un appuntamento irrinunciabile per dotare la città e la fiera dei collegamenti necessari. Per il futuro Fiera Milano pone al primo posto l’internazionalizzazione attraverso joint venture già attivate con le principali fiere del mondo allo scopo di entrare in mercati sempre più importanti quali quello cinese, indiano russo e mediorientale.
- Report - L’état de l’Union 2009. Rapport Schuman sur l’Europe (3ème édition)
Mondialisation, tensions internationales et sécurité, crise économique et financière, institutions et intégration: telles sont quelques-unes des questions posées à l’Union européenne, en cette année d’élections au Parlement européen et de renouvellement de la Commission européenne. Pour comprendre les enjeux européens, consultez l’ouvrage de référence disponible sur l’Europe publié par la Fondation Robert Schuman: «L’état de l’Union 2009. Rapport Schuman sur l’Europe» (3ème édition). Cet ouvrage propose des analyses originales, des cartes inédites et les données indispensables pour tout savoir sur l’Europe.
- Report - The European Union and the Russo - Georgian War (Fondazione R. Shumann)
La fondazione Robert Shumann ha pubblicato un documento a cura di Jean-Dominique Giuliani, Chairman della Fondazione e Michel Foucher, geografo e diplomatico, membro del comitato scientifico della Fondazione, sul tema della guerra tra Russia e Georgia. A seguito degli eventi di agosto, viene evidenziato come l’Europa debba agire in maniera ferma ma responsabile utilizzando i principi del diritto internazionale a supporto delle proprie proposte. Mostra testo: The European Union and The Russo-Georgian War
- Incontro con Giuseppe Bonomi
Il 2 novembre 2015 Giuseppe Bonomi, Segretario Generale e Direttore Generale Presidenza Regione Lombardia, è intervenuto sul tema: “Infrastrutture e competitività: il ruolo dei governi regionali”, offrendo un quadro sull’operato delle Regioni nel mutare del contesto Istituzionale.
- Incontro con Maurizio Lupi
Si è tenuto lo scorso 15 dicembre l’incontro presso Fondazione ResPublica con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi. L’incontro è stato l’occasione per discutere liberamente dei progetti infrastrutturali che interessano il Paese e, in particolare, l’area lombarda, a pochi mesi dall’apertura dell’Esposizione Universale. Sono stati altresì affrontati i temi dello sviluppo e della competitività del sistema portuale, temi su cui ResPublica si è molto impegnata in passato, oltre che del finanziamento delle opere pubbliche anche con il coinvolgimento di capitali privati in PPP.
- Conferenza stampa - Due cose buone per il Sud
Conferenza stampa di Giulio Tremonti e Antonio Gentile (ex sottosegretario all’Economia con delega alle questioni economiche del Mezzogiorno) al Senato per la presentazione della Banca del Mezzogiorno e 3 miliardi di bond per il Sud. Al seguente link è disponibile la registrazione audio della conferenza: https://www.radioradicale.it/scheda/345395
- Report - Time for growth: favorire la quotazione in borsa.
Fondazione ResPublica e Fondazione Astrid sono liete di presentare il rapporto finale della ricerca "Time for growth: favorire la quotazione in borsa". Obiettivo della ricerca è stato quello di presentare proposte innovative e concrete per semplificare e rendere più efficienti le procedure di quotazione offrendo alle imprese, in particolare quelle di media dimensione, una reale alternativa al finanziamento bancario e una opportunità di crescita e sviluppo nell’arena competitiva di un mondo globalizzato. La ricerca si è sviluppata su tre differenti moduli: 1. Una survey sulla quotazione nel mercato mobiliare italiano. Il lavoro, elaborato attraverso la trasmissione di un questionario alle principali società quotate e non quotate (1.000 imprese) è volto a conoscere e valutare i principali ostacoli alla quotazione, la percezione delle imprese circa il mercato mobiliare italiano, le motivazioni che supportano la decisione di quotarsi o non quotarsi; 2. Una ricerca sulla quotazione nelle principali Borse del mondo. Il lavoro esamina le best practice estere relativamente ai costi di quotazione ed al quadro normativo di riferimento; 3. Un’indagine in tema di quotazione di borsa presso le principali istituzioni finanziarie che operano a Milano. Di seguito la locandina dell'evento di presentazione del report e il documento elaborato a valle della ricerca:
- Incontro con Alessandro Belgiojoso
Il 29 aprile è intervenuto presso la Fondazione Alessandro Belgiojoso, artista e progettista culturale, che ha presentato il progetto “100 cascine”. L’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 ha fornito lo spunto per l’ideazione di questo progetto che prevede la riqualificazione di cascine lombarde attraverso finanziamenti pubblici e privati. Le cascine recuperate, vogliono offrire una risposta alla domanda di ricettività in vista del 2015 e, nel contempo, promuovere e valorizzare il territorio e il suo patrimonio storico.
- Research - Studiare il fenomeno dell'immigrazione partendo dai comportamenti dell'individuo
I fenomeni migratori rappresentano uno degli aspetti tipici di un mondo globalizzato. La storia insegna che il contatto con culture differenti provenienti dall’esterno implica cambiamenti nel modo di vivere delle popolazioni autoctone e necessità di integrarsi positivamente con le nuove culture. I flussi migratori dell’era moderna hanno beneficiato di reti di trasporto più efficienti e servizi più accessibili; ciò ha permesso a un numero crescente di persone di muoversi principalmente dalle aree povere del pianeta a quelle più ricche. Queste innovazioni hanno però reso potenzialmente meno irreversibili tali flussi. L’Italia, tra i maggiori paesi di emigrazione del XIX e XX secolo, è a sua volta diventata meta di immigrazione a partire dall’ultimo quarto di secolo del novecento. Il deciso aumento della presenza di cittadini stranieri sul territorio negli ultimi venti anni e l’impatto del fenomeno sulla società e sul sistema economico ha imposto l’immigrazione tra i temi principali della discussione politica e sociale. All’inizio degli anni Novanta il censimento sulla presenza di immigrati sul territorio italiano segnalava 356.159 individui regolarmente presenti sul suolo nazionale, pari allo 0,6% circa della popolazione. Dieci anni dopo, nel 2001, tale percentuale era salita al 2,3%. L’ultima rilevazione (Istat, gennaio 2009) fornisce un dato di 3.891.295 individui pari al 6,5% dei residenti del Paese: + 151,1% negli ultimi sei anni. Cifra che aumenta di almeno un milione se si considera la stima del numero degli immigrati irregolari secondo Caritas Italiana, favoriti dalla pratica diffusa del lavoro nero in particolare nel comparto agricolo. L’Italia viene scelta in quanto percepita come nazione ricca, posizionata al centro del Mediterraneo e quindi facile da raggiungere rispetto ad altri paesi europei. Sempre di più incide l’immigrazione per ricongiungimento famigliare (sottolineata da una percentuale di stranieri che vive in famiglia oramai maggiore del 50%) e l’immigrazione favorita dalla presenza di una comunità organizzata proveniente dal paese di origine che agisce da ponte con la nuova realtà. Risultano preponderanti tra la comunità immigrata i contratti di lavoro dipendente (principalmente a tempo determinato) in particolare femminile di provenienza comunitaria, per colf e badanti, e maschile, sia di provenienza comunitaria che extracomunitaria, nei settori dell’edilizia, della manifattura e dell’agricoltura. Tuttavia la valutazione del contributo economico degli immigrati deve considerare il forte tasso di auto imprenditorialità e propensione al lavoro autonomo degli stranieri in Italia (Rapporto Caritas/Migrantes). A metà del 2009 erano 187.466 i titolari di attività autonome (circa il 6% degli imprenditori del Paese), con una maggiore incidenza di immigrati provenienti dal Marocco, dalla Romania e dalla Cina. Nonostante l’attuale crisi economica, il dato sulle nuove attività per il III trimestre del 2009 (negativo a livello nazionale) ha registrato invece un + 4,4% tra gli stranieri (Istituto Leone Moressa “Crisi e Imprenditorialità etnica in Italia”). I risvolti economici di questo fenomeno sono notevoli non solo per l’Italia ma anche per i Paesi di origine; secondo i dati Bankitalia il valore delle rimesse nel 2008 è stato di circa 6 miliardi di euro considerando i canali formali e di 10 miliardi di euro considerando i canali informali. Una ricerca del Centro Studi Sintesi di Venezia ha calcolato una crescita del volume delle rimesse degli immigrati in Italia nel periodo dal 2000 al 2007 pari al 927%. Un terzo degli immigrati in possesso di lavoro (il dato non considera quindi studenti o disoccupati) invia regolarmente rimesse al paese di origine per un ammontare medio tra i 200 e i 400 euro mensili (Makno & Consulting, 2008). A livello globale le rimesse ammonterebbero invece a 300 miliardi di euro l’anno (Banca Mondiale, 2008), una cifra in grado di dare un forte impulso allo sviluppo dei paesi poveri e di apportare un contributo decisivo al PIL di alcuni paesi (46% del PIL in Tajikistan, 34% in Moldavia). L’analisi di tali flussi rappresenta un importante indicatore del fenomeno migratorio in quanto evidenzia l’intensità delle relazioni con i Paesi di provenienza e, in alcuni casi, la volontà circa il desiderio di costruirsi un futuro nel Paese ospitante o di ritornare nella patria di origine. Tale volontà si riflette anche nel grado di integrazione con la cultura ospitante. Dalla stessa indagine di Makno & Consulting emerge come un terzo circa del campione mostri un bassa conoscenza dell’italiano nel linguaggio parlato e circa la metà ammetta difficoltà nella lettura o nella scrittura. Su tale tale risultato influisce la forte concentrazione di immigrati in aree definite all’interno dei tessuti urbani che favorisce l’utilizzo della lingua d’origine nell’ambiente famigliare e sociale e impedisce l’assimilazione dei tratti culturali propri del luogo. Approfondire le variabili individuali e microeconomiche del fenomeno immigratorio – sia in entrata che in uscita dal Paese – permetterebbe di meglio comprenderne la realtà macro e riuscire quindi, al di fuori della contrapposizione ideologica che spesso anima il dibattito politico, a trovare quelle soluzioni giuridico-amministrative che meglio si adattano alla gestione del fenomeno. Conoscere le dinamiche e prevedere l’impatto delle migrazioni da parte del sistema politico è essenziale per definire quelle politiche di integrazione che, in quanto tali, non si concludano con la sottomissione della cultura più debole ma consentano invece, sulla base del riconoscimento reciproco di diritti universali, la pacifica convivenza di diverse culture. Alessandro Stefano Barbina







