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Research - Studiare il fenomeno dell'immigrazione partendo dai comportamenti dell'individuo

I fenomeni migratori rappresentano uno degli aspetti tipici di un mondo globalizzato. La storia insegna che il contatto con culture differenti provenienti dall’esterno implica cambiamenti nel modo di vivere delle popolazioni autoctone e necessità di integrarsi positivamente con le nuove culture.


I flussi migratori dell’era moderna hanno beneficiato di reti di trasporto più efficienti e servizi più accessibili; ciò ha permesso a un numero crescente di persone di muoversi principalmente dalle aree povere del pianeta a quelle più ricche. Queste innovazioni hanno però reso potenzialmente meno irreversibili tali flussi.

L’Italia, tra i maggiori paesi di emigrazione del XIX e XX secolo, è a sua volta diventata meta di immigrazione a partire dall’ultimo quarto di secolo del novecento. Il deciso aumento della presenza di cittadini stranieri sul territorio negli ultimi venti anni e l’impatto del fenomeno sulla società e sul sistema economico ha imposto l’immigrazione tra i temi principali della discussione politica e sociale.

All’inizio degli anni Novanta il censimento sulla presenza di immigrati sul territorio italiano segnalava 356.159 individui regolarmente presenti sul suolo nazionale, pari allo 0,6% circa della popolazione. Dieci anni dopo, nel 2001, tale percentuale era salita al 2,3%. L’ultima rilevazione (Istat, gennaio 2009) fornisce un dato di 3.891.295 individui pari al 6,5% dei residenti del Paese: + 151,1% negli ultimi sei anni. Cifra che aumenta di almeno un milione se si considera la stima del numero degli immigrati irregolari secondo Caritas Italiana, favoriti dalla pratica diffusa del lavoro nero in particolare nel comparto agricolo.

L’Italia viene scelta in quanto percepita come nazione ricca, posizionata al centro del Mediterraneo e quindi facile da raggiungere rispetto ad altri paesi europei. Sempre di più incide l’immigrazione per ricongiungimento famigliare (sottolineata da una percentuale di stranieri che vive in famiglia oramai maggiore del 50%) e l’immigrazione favorita dalla presenza di una comunità organizzata proveniente dal paese di origine che agisce da ponte con la nuova realtà.

Risultano preponderanti tra la comunità immigrata i contratti di lavoro dipendente (principalmente a tempo determinato) in particolare femminile di provenienza comunitaria, per colf e badanti, e maschile, sia di provenienza comunitaria che extracomunitaria, nei settori dell’edilizia, della manifattura e dell’agricoltura. Tuttavia la valutazione del contributo economico degli immigrati deve considerare il forte tasso di auto imprenditorialità e propensione al lavoro autonomo degli stranieri in Italia (Rapporto Caritas/Migrantes). A metà del 2009 erano 187.466 i titolari di attività autonome (circa il 6% degli imprenditori del Paese), con una maggiore incidenza di immigrati provenienti dal Marocco, dalla Romania e dalla Cina. Nonostante l’attuale crisi economica, il dato sulle nuove attività per il III trimestre del 2009 (negativo a livello nazionale) ha registrato invece un + 4,4% tra gli stranieri (Istituto Leone Moressa “Crisi e Imprenditorialità etnica in Italia”).

I risvolti economici di questo fenomeno sono notevoli non solo per l’Italia ma anche per i Paesi di origine; secondo i dati Bankitalia il valore delle rimesse nel 2008 è stato di circa 6 miliardi di euro considerando i canali formali e di 10 miliardi di euro considerando i canali informali. Una ricerca del Centro Studi Sintesi di Venezia ha calcolato una crescita del volume delle rimesse degli immigrati in Italia nel periodo dal 2000 al 2007 pari al 927%. Un terzo degli immigrati in possesso di lavoro (il dato non considera quindi studenti o disoccupati) invia regolarmente rimesse al paese di origine per un ammontare medio tra i 200 e i 400 euro mensili (Makno & Consulting, 2008). A livello globale le rimesse ammonterebbero invece a 300 miliardi di euro l’anno (Banca Mondiale, 2008), una cifra in grado di dare un forte impulso allo sviluppo dei paesi poveri e di apportare un contributo decisivo al PIL di alcuni paesi (46% del PIL in Tajikistan, 34% in Moldavia).

L’analisi di tali flussi rappresenta un importante indicatore del fenomeno migratorio in quanto evidenzia l’intensità delle relazioni con i Paesi di provenienza e, in alcuni casi, la volontà circa il desiderio di costruirsi un futuro nel Paese ospitante o di ritornare nella patria di origine. Tale volontà si riflette anche nel grado di integrazione con la cultura ospitante. Dalla stessa indagine di Makno & Consulting emerge come un terzo circa del campione mostri un bassa conoscenza dell’italiano nel linguaggio parlato e circa la metà ammetta difficoltà nella lettura o nella scrittura. Su tale tale risultato influisce la forte concentrazione di immigrati in aree definite all’interno dei tessuti urbani che favorisce l’utilizzo della lingua d’origine nell’ambiente famigliare e sociale e impedisce l’assimilazione dei tratti culturali propri del luogo.

Approfondire le variabili individuali e microeconomiche del fenomeno immigratorio – sia in entrata che in uscita dal Paese – permetterebbe di meglio comprenderne la realtà macro e riuscire quindi, al di fuori della contrapposizione ideologica che spesso anima il dibattito politico, a trovare quelle soluzioni giuridico-amministrative che meglio si adattano alla gestione del fenomeno. Conoscere le dinamiche e prevedere l’impatto delle migrazioni da parte del sistema politico è essenziale per definire quelle politiche di integrazione che, in quanto tali, non si concludano con la sottomissione della cultura più debole ma consentano invece, sulla base del riconoscimento reciproco di diritti universali, la pacifica convivenza di diverse culture.


Alessandro Stefano Barbina

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