Pubblichiamo il resoconto dell’intervento del 10 settembre 2008 del Ministro Tremonti, Presidente del comitato scientifico della fondazione Res Publica, alla Camera dei Deputati, IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni, riguardante gli sviluppi del caso Alitalia. Quello di Alitalia è un caso su cui, in un tempo straordinariamente breve, si è sviluppata una vastissima quantità di materiali, tanto di materiali mediatici, quanto di materiali politici. I materiali mediatici hanno concentrato ed espresso un lavoro straordinario, prova non casuale dell’alta qualità del nostro sistema di informazione. Se ha, in specie, un difetto la massa di materiali mediatici finora elaborati è quello di essere insufficiente in modo quasi paradossale, insufficiente per eccesso I materiali politici nel loro insieme hanno elevato il caso Alitalia da caso industriale quasi a metafora generale, a simbologia positiva o negativa, analisi e insieme sintesi del Paese, quasi fosse un’autobiografia dell’Italia, tra passato, presente e futuro. Forse anche questo è eccessivo. Per valutare correttamente cosa è ora in atto, dal lato della vicenda proprietaria, va comunque fatto un passo indietro. L’ultimo piano industriale ordinario di Alitalia è stato elaborato nel secondo semestre del 2004, notificato dalla Repubblica italiana alla Commissione europea il 15 ottobre 2004, approvato dalla Commissione europea con decisione del 7 giugno 2005, presentato al mercato con prospetto informativo depositato in Consob l’11 novembre 2005 e successivamente sottoscritto per le corrispondenti quote tanto dallo Stato, quanto dal mercato, in coerenza tanto con i vincoli imposti dalla disciplina europea, quanto con le manifestazioni di interesse espresse dal mercato. Al 31 dicembre 2005, a valle di questo aumento di capitale, il bilancio di Alitalia evidenziava un patrimonio netto pari a circa 1,4 miliardi di euro. Ciò che dopo è mancato non sono stati, dunque, i mezzi finanziari, il Governo, l’azienda, o il mercato, ma è stato altro. Con grande onestà politica e intellettuale un segretario sindacale confederale il 23 agosto scorso ha dichiarato in un’intervista: «Era meglio accettare, ma noi sindacati fermammo Berlusconi». Fuori da ogni polemica, perché era meglio accettare? Per molte ragioni, ma soprattutto per una ragione: quello era l’ultimo piano autorizzato e autorizzabile dall’Europa in procedura ordinaria. L’11 febbraio 2006 vengono sciolte le Camere; il 9 e il 10 aprile 2006 vengono celebrate le elezioni politiche nazionali. Il Governo Prodi si insedia il 28 aprile 2006, e si attiva su Alitalia solo il 10 ottobre 2006. Nella stessa data, sul sito della Presidenza del Consiglio, a seguito di un incontro fra il Governo e i sindacati, si poteva, in specie, leggere quanto segue: «Trasporto aereo. Incontro tra Governo e sindacati sulla questione riguardante il trasporto aereo e, in particolare, sulla grave situazione di Alitalia. Entro il 31 gennaio del prossimo anno dovranno essere fatte le scelte riguardanti il futuro di Alitalia». In altri termini, quello che mi permetto di considerare un paradosso si manifesta nei termini che seguono: si ammette che la situazione di Alitalia è diventata grave, e tuttavia il Governo si concede una moratoria di quattro mesi. Nel testo dell’audizione del Ministro Padoa-Schioppa del 2 aprile 2008, laddove lo stesso Ministro parla della sua attività, si legge che il 23 gennaio 2007 egli formulò una lettera di procedura ordinaria per la presentazione di offerte preliminari e che, uno dopo l’altro, tutti i soggetti si ritirarono, fino a che, nel settembre 2007, venne nominata una grande banca internazionale – la Citibank – quale advisor finanziario. Dei ventotto soggetti così avvicinati, alla fine ne rimane solo uno: Air France-KLM. Nel testo della stessa audizione si legge che il 28 dicembre 2007, d’accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’economia e delle finanze espresse un orientamento favorevole all’avvio di una trattativa in esclusiva con Air France-KLM. Credo che ora sia di grande interesse rileggere quanto allora notato, a futura memoria, dal Ministro Padoa-Schioppa, sempre nella citata audizione: «…La gravità della situazione è nota a tutti. Eventuali iniziative di discontinuità che gli amministratori della società si vedessero costretti a prendere nella loro autonoma responsabilità, segnerebbero l’ingresso in una condizione che nessuno può augurarsi: non i viaggiatori, non i dipendenti della società, non i contribuenti, non la SEA, non la classe politica, non il sindacato, non l’immagine internazionale dell’Italia. Il passaggio all’amministrazione straordinaria non è mai facile, né di certa conclusione, né, soprattutto, privo di ricadute sul sistema. In assenza di prospettive di ristrutturazione si converte in fallimento. Nel caso di Alitalia è ipotizzabile che le circostanze descritte porterebbero a un ricorso alla legge Marzano, l’unica in grado di affrontare la crisi di una grande azienda. Si dice che la procedura prevista dalla legge Marzano consente la prosecuzione, sia pure in regime straordinario, dell’attività di impresa e, perciò, offre possibilità di risanamento che la procedura fallimentare non consente. Bisogna, però, essere consapevoli che in casi di crisi industriale essa potrebbe essere risolutiva soltanto se il commissario ponesse in essere iniziative di ristrutturazione immediata e molto radicali. Vi sono fondati motivi per presumere che tali iniziative dovrebbero essere davvero assai più radicali di quelle proposte». Nel frattempo, apprendiamo ora dal Ministro Bersani, che falliva anche il piano B. In un suo articolo pubblicato il 7 settembre scorso su Il Sole 24 Ore il Ministro Bersani ci informa di quanto segue, verbatim: «Sì, esisteva un piano B e me ne stavo occupando personalmente. Prevedeva l’immediato commissariamento ai sensi della legge Marzano, modificata solo e semplicemente nel rendere flessibili e rapide le possibilità di cessione e nel garantire, per un periodo breve, alcuni aspetti di operatività. Il commissariamento sarebbe avvenuto su tutto il perimetro di Alitalia, sarebbe stato affidato ad una personalità autorevole in campo nazionale e internazionale già individuata, sarebbe stato nel solco delle norme vigenti in materia di concorrenza, dei diritti di terzi, degli ammortizzatori sociali. Per questa via si riteneva non impossibile trovare una soluzione dolorosa ma accettabile, eventualmente già organizzata su offerte congiunte tra operatori internazionali e attori nazionali. Tutto precipitò, com’è noto, mentre ancora si tentava di perfezionare l’intesa con Air France». È un documento nuovo e importante per la conoscenza del caso Alitalia. Non conosciamo i dettagli del piano B: quali varianti avrebbe apportato alla legge Marzano, cosa voleva garantire in termini di operatività, quale commissario, quale cordata. Sarebbe davvero ancora utile conoscere questi elementi, se non altro per una riduzione dei fattori di contrasto, dato che sembra una ipotesi sostanzialmente simile a quella in atto (Commenti)… Io credo che sia un diritto, se così posso dire, da parte del Governo esprimere la propria opinione. Sarebbe davvero interessante conoscere quali emendamenti… Certo, ognuno può sostenere di realizzare emendamenti migliori dell’altro, di trovare commissari migliori, migliori cordate, ma sostanzialmente il meccanismo della legge Marzano, degli emendamenti a tale legge, delle deroghe, sia pure temporanee, ai meccanismi di licenza, di operatività, è… quello. C’è solo un curiosum, costituito dal fatto che si era comunque nel corso di una trattativa che il Governo, nel suo insieme, aveva stabilito dover essere in esclusiva con Air France. Non ci interessa, comunque, l’analisi storica delle cause e dei motivi di questi fallimenti. Abbiamo solo delle difficoltà ad accettare che la colpa sia data da chi allora c’era ed era al Governo a chi non era ancora al Governo. Nei termini dati dalla realtà, e a questa altezza di tempo, l’unico esercizio comparativo che ci pare serio fare non è quello basato su Air France-KLM, come se ci fosse e potesse ancora esserci quello che non c’è più, ma quello basato sull’alternativa tra una ipotesi industriale che appare ora comunque realizzabile e la liquidazione, altrimenti inevitabile. Fallita la trattativa con Air France-KLM, e proprio perché era fallita, il Governo Prodi ha formalmente preso atto della crisi di Alitalia e lo ha fatto con il decreto-legge n. 80 del 2008. Ciò che soprattutto rileva in questo testo è la presa d’atto dei drammatici problemi posti dalla necessità di garanzia «di un servizio pubblico essenziale, al fine di evitare interruzione nella sua continuità territoriale»; la presa d’atto dei «problemi» di ordine pubblico; la volontà di «contenere le conseguenze sistemiche di rilevanza prioritaria per la politica del trasporto aereo e per il sistema economico del Paese, che si determinerebbero a seguito del blocco del trasporto aereo»; la volontà di non compromettere «il processo di privatizzazione di Alitalia»; la parallela presa d’atto della «gravissima situazione finanziaria di Alitalia come risulta dalle informazioni rese al mercato per far fronte all’immediato fabbisogno di liquidità indispensabile per la continuità dell’attività aziendale ordinaria nel breve periodo. La criticità della situazione risulta aggravata…». In sostanza e in sintesi, per evitare tutto quanto sopra, in ragione di interessi pubblici ritenuti prevalenti – ovvero la continuità del trasporto aereo e la continuazione del processo di privatizzazione di Alitalia – il decreto-legge n. 80 ha introdotto una normativa speciale, alternativa e/o sostitutiva di quella ordinaria, per evitare una altrimenti inevitabile procedura di crisi. Il Governo Berlusconi ha ottenuto la fiducia del Parlamento il 15 maggio 2008; da allora sono passati poco più di cento giorni. Il decreto-legge n. 23 del 2008 è del 27 maggio ed è stato approvato nel nostro primo Consiglio dei Ministri solo per rendere utile il decreto-legge n. 80. Va notato che, se nel prestito ponte si ravvisano profili di aiuto di Stato vietato perché in contrasto con le regole europee, questi sono radicati nel decreto-legge n. 80 e non nel nostro successivo decreto-legge. La procedura di infrazione europea è infatti iniziata subito sul decreto-legge n. 80. I successivi decreti-legge n. 97 e n. 134 stanno centrando proprio gli obiettivi essenziali previsti all’origine dal decreto-legge n. 80: evitare la crisi Alitalia per scongiurare il blocco del trasporto aereo e finalizzarne la privatizzazione. Se necessario, risulta agli atti la documentazione relativa alla tempistica, da cui si evince come la procedura di contestazione europea inizi immediatamente dopo il decreto-legge n. 80, prima dell’insediamento del Governo Berlusconi e della formulazione del decreto-legge modificativo del n. 80. La procedura di privatizzazione è in atto in queste ore e le relative informazioni sono rese in forma ufficiale e in tempo reale. Il Governo riferirà in Parlamento in ragione delle sue specifiche competenze. Mi permetto di formulare alcune considerazioni particolari in ordine ai punti principali del dibattito politico finora sviluppato. È stato rilevato come la procedura in atto abbia un costo per il bilancio pubblico. Mi permetto di invertire i termini del problema. Per il bilancio pubblico, la procedura in atto ha l’effetto opposto, quello proprio e tipico dello stop loss: non crea perdite, ma interrompe il processo di formazione di nuove perdite. Senza, continuando come prima, ammesso che fosse o sia comunque possibile continuare come prima, o come finora, il costo per il bilancio pubblico sarebbe stato, sarebbe molto maggiore. L’ideale sarebbe avere il trasporto aereo e scaricare le passività finora accumulate su qualcuno. La realtà, invece, è che: esistono passività accumulate; c’è bisogno del trasporto aereo ordinato in una logica di sistema: non c’è un acquirente disposto a rilevare insieme passività accumulate e trasporto aereo. Se ci fosse qualcuno disposto a farlo, avrebbe potuto farlo, potrebbe farlo, è ancora in tempo per farlo. Sfortunatamente, non c’è nessuno disposto a farlo. Questa è purtroppo la realtà data, una realtà profondamente diversa da quella in essere alla fine del 2005. Una realtà, quella che abbiamo davanti, per cui, in ragione dell’interesse pubblico essenziale ad un trasporto aereo concepito in una logica di sistema, si impone la necessità di finalizzare un’operazione ex legge Marzano nelle migliori condizioni possibili. Condizioni che non esistono in astratto, ma solo nel concreto della realtà oggettivamente in essere. Al riguardo è possibile comunque effettuare alcuni conti specifici. A giugno 2001, data di inizio del primo Governo Berlusconi, il valore di Borsa per azione di Alitalia era pari a 1,4 euro. Non è dunque esatto quanto pubblicamente dichiarato, ovvero che un’azione Alitalia valesse in Borsa 10 euro. Come è stato detto, e concordo, «per riportare un po’ di serenità bisogna stare al vero al vero». Nel maggio 2006, data di fine del primo Governo Berlusconi, incorporando gli andamenti di Borsa prodotti dalle Torri gemelle e in generale dall’andamento dei corsi di borsa, il valore di Borsa di un’azione di Alitalia era pari a 1,042 euro, un differenziale di valore assolutamente fisiologico, evidentemente diverso da quello oggetto di polemica (Commenti). Tutti i corsi di borsa hanno avuto quell’andamento. Nel successivo periodo di tempo, dall’insediamento alla crisi del Governo Prodi, il patrimonio netto di Alitalia è passato da 1,4 miliardi di euro a zero. Corrispondentemente, si è azzerato il valore delle azioni Alitalia. Ciò vuol dire che la non risoluzione della crisi Alitalia, protratta per tutti i 22 mesi di durata del Governo Prodi, ha distrutto valore per un pari importo. E questa è una prima voce di costo, insieme pubblico e privato. Le sorti del prestito-ponte, operato iniettando liquidità dal bilancio pubblico in Alitalia, dipendono dall’esito della contestazione europea sul decreto-legge n. 80. Si noti: questo non vuol dire che il prestito-ponte sia stato di per sé irrazionale. Vuol dire che è stato, a valle, la conseguenza necessaria di una politica di inerzia protratta per 22 mesi, un altro modo per distruggere valore. Il costo per regimi di assistenza sociale va ancora calcolato, ma per noi è ragionevole l’ipotesi che sarebbe stato minore se fosse stato realizzato il piano industriale ultimo ordinario possibile del 2005. Va infine e soprattutto aggiunto che, in assenza dell’intervento in atto, al costo erariale dovrebbe essere aggiunto il costo reale, che sarebbe generato dal blocco del trasporto aereo nazionale, un costo reale ed enorme considerata l’attuale permanente assenza di altre soluzioni attese o ipotizzate come magicamente provenienti dal mercato. Soluzioni che in realtà ad oggi sono del tutto assenti. È vero che l’Italia è, nell’universo del trasporto aereo mondiale, l’ottavo mercato mondiale, ma non è affatto detto – è tutto da provare – che dal mercato planino sulla crisi di Alitalia altri nuovi operatori, stranieri o italiani, comunque disposti a farsi generosamente carico delle nostre esigenze di sistema. A tale proposito, c’è una buona definizione di «compagnia di bandiera» ed è quella data nella sua audizione dal Ministro Padoa-Schioppa: «Nel trasporto aereo la compagnia di bandiera è quella che assicura la maggior parte dei collegamenti aerei all’interno di un Paese e verso l’estero». È stato detto che l’operazione in atto non escluderebbe la più o meno immediata cessione di Alitalia a terzi o a stranieri. Una cessione che potrebbe essere prossimamente operata sopra, con la cessione della proprietà della società, o sotto, con la cessione della sua attività. Non è propriamente così. Per quanto è noto, il lock-up societario non è un patto parasociale, ma una componente strutturale dello statuto sociale della società presentatasi all’offerta. Una sua modifica richiederebbe una maggioranza qualificata del 66 per cento. Analoga maggioranza qualificata sarebbe richiesta per eventuali delibere di cessione a terzi dell’attività aziendale sottostante, cessione che infatti costituirebbe modifica sostanziale dell’oggetto sociale, per cui sarebbe richiesta la stessa maggioranza. Questi vincoli li valutiamo insieme necessari e sufficienti. Altri vincoli non sarebbero compatibili con la normativa europea. In ogni caso va notato che la società offerente è oggi composta da 18 soggetti, di cui: 5 società sono quotate in Borsa; 2 sono tra i più importanti fondi di private equity italiani con partner nazionali e internazionali; 2 società hanno fatturati pari a molti miliardi di euro, realizzati in diversi Paesi del mondo; altri sono imprenditori seri e credibili. È stato ipotizzato che l’operazione in atto contrasti con i princìpi fondamentali del mercato, basato su competitività e concorrenza. Ma cosa è il mercato: è quello che si stilizza nei libri o quello che si trova nella realtà? In Germania, Lufthansa ha circa il 90 per cento del mercato interno tedesco, in Francia Air France-KLM ha circa il 65 per cento del mercato interno francese, e cosi via. La nuova Alitalia avrebbe certamente molto meno rispetto a queste percentuali. Sono fuori dal mercato in Germania e in Francia o siamo fuori dal mercato in Italia? Chi è attento al mercato e alla concorrenza dovrebbe – credo – piuttosto considerare un dato fondamentale diverso. Ed è che, a partire dall’anno prossimo, la vera concorrenza Italia su Italia a favore dei consumatori non sarà tra vettori aerei, ma tra aereo e treno, data la capacità del treno di assorbire su tratte intorno alle 3-4 ore quote significative dei volumi di traffico aereo, come su Londra-Parigi, Londra-Manchester, Parigi-Marsiglia e Madrid-Siviglia. Infine, si è detto e scritto, credo, troppo a proposito di conflitti di interesse, identificati anche extra ordinem, ovvero anche fuori dal vigente sistema legale. Credo che, a forza di vedere conflitti di interesse anche dove la legge li esclude, finiremo per essere un Paese che ha sempre più conflitti su cui litigare e sempre meno interessi su cui crescere. Grazie.
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