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Carlo Carraro

"Un recente rapporto
dell’IPCC denuncia
un forte ritardo negli investimenti per contrastare le conseguenze del riscaldamento climatico. Bisogna ricordare che gli investimenti sono 
una spesa produttiva"

RETTORE EMERITO UNIVERSITA' CA' FOSCARI, VENEZIA DIRETTORE HFARM
VICEPRESIDENTE WORKING GROUP MITIGAZIONE CLIMATICA IPCC (INTERGOVERNMENTAL PANEL ON CLIMATE CHANGE, ONU)

Transizione ecologica tra sfide 
e opportunità

giovedì 26 maggio 2022

Le tensioni sui prezzi energetici, le preoccupazioni per la Russia e l’inflazione galoppante hanno distratto nell’ultimo anno da un tema che rimane sempre attuale e cruciale e i cui dati sono allarmanti, il riscaldamento climatico. I danni dell’emergenza climatica costano 200 miliardi di dollari a livello globale,
e la Bce ha stimato che in Europa al 2050 i danni da riscaldamento climatico impatteranno del 10% del Pil (10-15 mld di danni solo per l’Italia), numeri che non considerano le conseguenze su salute, patrimonio culturale e produttività del lavoro nelle aree colpite.

Un recente rapporto dell’Ipcc denuncia forti ritardi negli investimenti per contrastare le conseguenze del riscaldamento climatico nei prossimi anni. Il nostro Piano nazionale di adattamento, nonostante gli sforzi del ministro Giovannini, è fermo a una bozza del 2017. Bisogna ricordare che gli investimenti sono una spesa produttiva, dice il Prof. Carraro.

​Per la transizione energetica, la trasformazione industriale più rilevante, servono investimenti dell’1,5 – 2% del Pil globale (2.500 – 3.000 mld). Per quanto riguarda l’Europa si calcola che ci sia bisogno di 140 – 150 mld l’anno, di cui 70-80 rappresentano investimenti privati e 40-50 dal Recovery Plan; mancherebbero circa 40 mld che potrebbero essere ricavati dal sistema dei crediti di emissione, oppure da un piano post-recovery.

​Nel momento in cui stiamo affrontando l’emergenza dei costi dell’energia, in chiave anti-inflazionistica, non sono ammesse distrazioni sulla transizione. È ancora più necessaria soprattutto se vogliamo arrivare  in Europa, nel 2030, all’abbattimento del 55  per cento, rispetto al 1990, delle emissioni  di gas serra. 

​L’Unione europea però è bene ricordarlo, è responsabile solo dell’8% circa della produzione di anidride carbonica nel mondo. L’Italia ha un vantaggio competitivo, nell’economia circolare, che non va sottovalutato. Sono produzioni più pulite del carbone che, a differenza del nucleare, in questo momento in cui se ne fa per necessità un uso sempre più crescente, non ha oppositori.

L’Italia figura tra i Paesi più virtuosi in un’Unione europea che ha un obiettivo di decarbonizzazione fissato per direttiva. Risparmia energia più di altri, con maggiore efficienza. La scelta green delle imprese si diffonde con ampiezza e velocità sorprendenti. Non perché gli imprenditori siano diventati dei verdi appassionati, ma perché conviene. Le aziende che rispettano i criteri di sostenibilità vanno meglio, creano più lavoro e hanno un costo del capitale più basso. 

​Questa spinta dal basso è formidabile. Ma quella potenzialmente più decisiva viene dalle comunità, dagli investimenti nelle rinnovabili che possono decidere gruppi di cittadini organizzati, i quali oltre al vantaggio di godere di incentivi fiscali e energia a buon mercato, possono guadagnarci vendendo il surplus di elettricità prodotta al Gse, il Gestore dei servizi energetici. Delle cento comunità mappate da Legambiente, solo 16 erano arrivate a completare l’iter autorizzativo, e appena 3 avevano ricevuto l’aiuto statale. Il governo dovrebbe dar corso agli ultimi provvedimenti attuativi. 

Il governo Draghi ha fortemente accelerato i processi autorizzativi di impatto ambientale degli impianti fotovoltaici e dei parchi eolici, ma la potenza installata è ancora molto più bassa di quella di altri Paesi. 

Fondazione ResPublica

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