top of page

Tavola Rotonda

FONDAZIONE RESPUBLICA

Mercoledì 4 maggio 2022

CON I CONTRIBUTI DI GIUSEPPE VEGAS
(UNI CATTOLICA) , CARLO ALTOMONTE
(UNI BOCCONI), FRANCO BRUNI (ISPI)
E GREGORIO DE FELICE (INTESA SANPAOLO)

La Fondazione ho organizzato un dibattito con Giuseppe Vegas, già Presidente Consob, Carlo Altomonte, Professore di Politica economica europea Università Bocconi, Franco Bruni Vice Presidente ISPI e Gregorio De Felice Chief Economist Intesa Sanpaolo per esaminare gli impatti economici che il conflitto in Ucraina avrà per l’Europa. L’inflazione, inizialmente generata dall’aumento del prezzo del gas e dei semilavorati, sta divenendo un fenomeno di lunga durata, con effetti rilevanti sulla ripresa. Il conflitto ne sta aumentando l’intensità, ma non ne è l’unica causa.  L’inflazione stava infatti già salendo prima della guerra e con il passare dei mesi si è intensificata, influenzando pesantemente le aspettative degli attori economici.

L’aumento del prezzo del gas e dell’energia sta accelerando la riduzione dell’utilizzo di questa fonte e il processo di revisione delle scelte di approvvigionamento. In questo senso può rappresentare un fattore positivo per velocizzare la transizione verso fonti meno inquinanti, oggi competitive rispetto al gas. Per questo più che attraverso sussidi, per riparare il caro energia, servirebbe stimolare il risparmio energetico. L’inflazione diminuisce la competitività delle nostre imprese, perché rispetto alle imprese straniere, pagano un prezzo energetico superiore. Si stima che l’inflazione provocherà 200 miliardi di incremento dei costi operativi a carico delle imprese, incremento che non sempre sarà scaricato sui prezzi finali, poiché la domanda in Europa non è così forte. Ciò che preoccupa maggiormente è il rischio sociale provocato dall’inflazione, con eventuali risposte di politica economica ancora più errate (come la riproposizione della scala mobile).

Le politiche macroeconomiche degli ultimi anni hanno contribuito a questo trend inflazionistico: si è affrontata la crisi del 2008 con manovre innovative e coraggiose che hanno fermato la crisi finanziaria.  Ma negli anni successivi si è continuato a usare moneta per spingere un’economia che invece aveva problemi reali, non monetari. La situazione in Ucraina da una parte e la politica zero Covid messa in atto dal governo cinese possono produrre ulteriori effetti sulla pressione inflazionistica. Si pensi che al momento, circa il 20% delle 9.000 navi portacontainer attive nel mondo sono in attesa di essere scaricate in un qualche porto bloccato dal COVID. Di queste il 30% è bloccato in Cina, il doppio rispetto al mese di febbraio. Per una serie di ragioni strategiche legate agli interessi delle parti in campo (USA, Russia, Cina, lo stesso governo ucraino) il conflitto in Ucraina non è destinato a risolversi velocemente, ma non dovrebbe produrre escalation incontrollate. 

Conseguenze invece ci saranno su vari fronti: sull’efficienza allocativa, con una caduta della produttività globale, sui sistemi di pagamento e sull’inflazione. La globalizzazione è stata la vera forza antinflazionistica degli ultimi decenni e la concorrenza è stata una forza sempre pervasiva capace di calmierare qualsiasi aumento dei prezzi. Se la concorrenza viene bloccata può provocare shock di tipo inflazionistico. La fine della globalizzazione e il reshoring sono tra i probabili lasciti di questa guerra che rischia di spaccare il mondo, anche nelle strutture di comunicazione, in due blocchi geopolitici: quello democratico guidato dagli Stati Uniti e dai loro alleati e quello asiatico, che vede la Cina come primo attore (soprattutto dopo il probabile indebolimento russo conseguente al conflitto) e un crescente livello di autoritarismo;

Il reshoring preoccupa in particolare quando diventa un friend-shoring, con un coordinamento che per l’Occidente sarebbe quello statunitense, e che escluderebbe i paesi europei dalle decisioni più rilevanti.  
La Cina ha varato la Regional comprehensive economic partnership, (riguarda 2,5 miliardi di persone e il 30% del Pil mondiale) ed è ormai un attore imprescindibile della politica internazionale. Al 2050 la popolazione del Nord America e dell’Unione Europea conterrà solo il 12% della popolazione globale e il 46% del PIL. Asia, Africa e America Meridionale insieme conteranno per l’87% della popolazione.

L’esclusione della Russia dai consessi di dialogo internazionali (G20 in primis) rischia di avere effetti molto gravi sulla cooperazione internazionale. La Cina avrà tuttavia bisogno di esportare almeno ancora per una generazione, perché l’economia cinese non sta in piedi se non grazie alle esportazioni. 
L’Europa, oltre alla fornitura di armi all’Ucraina, sta inasprendo le sanzioni con progressivi round che escludono l’economia russa dalle catene globali del valore, e iniziano a interessare l’export energetico (carbone, e in prospettiva anche petrolio). L’UE non utilizza al momento lo strumento dell’embargo del gas, anche in relazione alle possibili conseguenze che lo stesso avrebbe per le economie continentali. Le sanzioni alla Russia avranno un effetto, ma non così rilevante per l’Italia. 

L’Italia esporta l’1,5% in Russia ma importa il 4% del totale (15 miliardi): le sanzioni incideranno quindi maggiormente sulle imprese che operano in Russia. Il rischio di un eventuale interruzione delle forniture di gas ricadrà soprattutto su Germania e Italia. Il 16% del nostro fabbisogno energetico è oggi coperto da gas russo. Resterebbe invece abbastanza protetta da questo shock la Francia, grazie all’energia nucleare di cui dispongono, senza considerare però le ricadute negative del rallentamento italiano e tedesco. Per queste ragioni un embargo europeo sul gas russo è al momento molto meno probabile di quello sul petrolio. 

L’eventuale estensione delle sanzioni al petrolio avrebbe nel breve periodo conseguenze negative per l’economia europea (la Russia è stato il più importante esportatore mondiale di petrolio nel 2021, con una quota di mercato dell’8%), ma non dovrebbe modificare in maniera drammatica lo scenario di crescita per l’Europa. Lo shock petrolifero sui prezzi ha già avuto luogo, e l’offerta di petrolio globale (incluse le riserve strategiche già disponibili) è relativamente più fungibile di quella di gas; dunque la capacità di differenziazione e sostituzione è decisamente superiore. Questo scenario, con le sanzioni di oggi, impatta sulla crescita europea per poco più di un punto di PIL in media, e circa due punti di PIL per l’Italia. Infatti, il DEF presentato dal Governo italiano stima al 2.9% la crescita al 2022, ossia 1.8 punti in meno rispetto alla previsione di inizio anno (4.7%) [ad oggi le stime parlano del 3,9%, ndr]. 

Può la politica monetaria difendere il potere d’acquisto? La Banca Centrale Europea non è esitante, alzerà due volte il tasso di interesse quest’anno come annunciato e i programmi di acquisto dei titoli termineranno definitivamente nel terzo trimestre. Non è l’inizio di un ciclo restrittivo, come quello della FED, ma inizia una fase di normalizzazione dei tassi (che chiude un inusuale periodo di tassi negativi durato 8 anni senza stimolare l’inflazione all’obiettivo del 2%) 

Sono necessari ingenti investimenti per l’indipendenza energetica e la transizione ecologica. Tutto questo ha bisogno di un coordinamento europeo, perché le cifre per ripensare il rifornimento energetico sono molto elevate: di fronte a una grande sfida l’Europa deve tornare a riunirsi e a dare una risposta congiunta. L’Europa ha commesso l’errore di non avere una politica energetica, difesa e sicurezza alimentare comune. Per cui siamo in una situazione di debolezza a cui si contrappone la debolezza della struttura produttiva russa: un‘economia non diversificata senza piccole e medie imprese, con un manifatturiero inesistente, e quindi inadeguata a produrre nuove tecnologie. 

Il primo appuntamento è l’RE-Power EU, annunciato dal Commissario Gentiloni, che conterrà  una serie di raccomandazioni e incoraggiamenti agli Stati membri per arrivare a una indipendenza energetica. Non dovrebbe essere previsto un nuovo fondo europeo come il Next Generation, ma non c’è ancora una
politica energetica comune. Da questo punto di vista la strategia fiscale europea è cruciale. Se l’espansione fiscale diventa funzionale a stemperare l’impatto dell’aumento dei prezzi energetici su famiglie e imprese, tramite apposite politiche di sussidio, questo contiene il rischio di un aumento generalizzato dei salari, che attenuerebbe a sua volta il rischio di una risposta più aggressiva da parte della BCE. Quindi l’azione della banca centrale deve trovare supporto in quella della politica fiscale europea per evitare il danno di uno scenario stagflattivo. I fondi finanziari per queste nuove iniziative potrebbero derivare da un nuovo piano europeo di supporto agli Stati membri, sulla scorta di Next Generation EU, o più probabilmente nel breve periodo da una rimodulazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza, al fine di orientare alcuni degli investimenti programmati in funzione dell’obbiettivo di una autonomia strategica europea sul fronte dell’energia.

La fine della globalizzazione 
e il reshoring sono tra 
i probabili lasciti di questa guerra
che rischia di spaccare 
il mondo, anche nelle 
strutture di comunicazione, 
in due blocchi geopolitici.

bottom of page