L’incontro del 21-22 settembre scorso a Villa Adenauer si è aperto sulla constatazione che nell’attuale fase politica vi è un chiaro logoramento nell’esercizio del potere da parte del Governo centrale, il che finisce per erodere le basi della democrazia rappresentativa. In tale contesto, l’economia è sempre meno l’elemento discriminante all’interno della dialettica politica italiana. In larga parte ciò è dovuto alla comunanza delle agende economiche comuni nei vari Paesi UE che, nonostante alcune perduranti differenze di fondo, esclude alla radice che il confronto politico possa davvero interessare modelli economici tra loro alternativi.
Etica ed Economia. È difficile, ad esempio, che oggigiorno si ritrovi una formazione politica capace di definirsi sinceramente antiliberista, salvo casi drastici che tuttavia si collocano ai margini del dibattito politico. Se in più si aggiunge che la crescita economica da diverso tempo è comunque contenuta, è evidente che non sarà nell’economia che si potrà trovare il vero discrimine politico, quanto in visioni profonde della società. Volendo catturare in una formula l’intero fenomeno, si potrebbe dire: meno materia e più spirito. Evocando paradigmi storico-culturali, la partita si gioca tra Parigi e Roma. Come a significare una contrapposizione tra razionalismo “illuminista” e spiritualità cristiana, in un confronto sui principali temi che compongono una visione della società. Oppure ancora tra Londra e Roma, enfatizzando una visione mercatista (quella anglosassone) e una visione spiritualista (quella romana). È importante la quantità di potere necessaria per introdurre termini complessi. La dividente è nel momento dei valori: “se hai valori fai l’Europa Politica”. Nel soffermarsi sulla dialettica tra spiritualità ed economia, occorre peraltro affrontare quella che a lungo – e a torto – è stata considerata un’antinomia tra economia da una parte e morale dall’altra. L’antinomia, tuttavia, è solo apparente, poiché è il frutto di un duplice errore alquanto diffuso. L’antinomia è falsa sul piano storico, visto che l’economia nasce abbracciata all’etica negli ambienti della neoscolastica cristiana. E lo è sul piano concettuale, perché è falsa l’idea che l’economia contenga una polarità, e che quest’ultima sia in contrasto con la morale. Il disamoramento per la politica – oltre che analizzando la crescente complessità e codificazione del suo linguaggio – si può spiegare sciogliendo l’apparente antinomia tra etica ed economia. La disaffezione è infatti riconducibile, da un lato, alla riduzione dell’azione politica al tentativo materialista di soddisfare istinti, bisogni e passioni dell’uomo, tralasciandone la sfera spirituale; dall’altro, alla scarsa efficacia con cui, in ogni caso, tali istinti bisogni e passioni sono soddisfati. Ciò tradisce le aspettative nella politica, generando una crisi di sfiducia. Una scelta politica potrà quindi dirsi “immorale” se il mezzo utilizzato per risolvere il problema è inappropriato in questa duplice prospettiva. Tuttavia, sfugge ancora l’esatta composizione dei potenziali interlocutori. Tra questi, le statistiche e la realtà empirica ci rivelano che, accanto alla classe media che rappresenta i tradizionali valori familiari è presente, in misura crescente, una nuova realtà sociale che privilegia un approccio “nucleare”, individualista ed edonista. Occorrerà dunque guardare anche a tale realtà sociale, per interpretarne nella maniera più adeguata le esigenze. In particolar, se la partita – dunque – si gioca sul piano dei valori, occorrerà sviluppare sempre più forme di “privato sociale”, e coinvolgere i singoli operatori economici nelle questioni etiche di fondo, con un approccio che veda al centro il concetto di libertà in termini di responsabilità individuale e relazione del singolo con la società. Scenario economico attuale e Finanza pubblica. La situazione economica attuale, dipinta a tinte fosche sui giornali, è la risultante di fattori noti: i cambiamenti strutturali indotti dall’introduzione dell’Euro, l’allargamento a Est della UE, l’affermazione di Cina e India, gli sviluppi rapidissimi dell’informatica e – specificità italiana – l’assenza di comunicazione con un sindacato in parte ancora arroccato su posizioni ideologiche e anti-storiche. Come considerazione di fondo, quando le analisi ufficiali si soffermano sul PIL italiano, questo offre peraltro un’immagine in parte riduttiva della nostra economia, visto che il ruolo delle “holding”, e delle “trading companies” di gruppi italiani all’estero non è preso in considerazione. Anche le dinamiche di produttività delle circa 600 medie aziende che rappresentano la struttura di fondo del nostro sistema industriale sono buone. Più in generale, sul fronte dell’occupazione la nostra economia si caratterizza per una bassa disoccupazione mentre le note dolenti arrivano dal fronte della produttività, in particolare dal costo del lavoro per unità di prodotto, appesantito da norme comunitarie sull’orario di lavoro e sulla regolazione a termine che non sono recepite correttamente. Quanto alla crisi “subprime” di questi giorni, è vero che lo scopo di larga parte delle cartolarizzazioni di cui si legge sui giornali è la parcellizzazione del rischio di credito. Questo però non toglie che gli operatori bancari hanno perso la capacità di valutare correttamente il credito stesso, e che questo fenomeno stia creando grossa sfiducia sui mercati finanziari (fino a poco fa cosciente unicamente dei maggiori interessi su titoli cartolarizzati, ma non dei maggiori rischi a questi connessi) e tra gli stessi operatori finanziari. In questo momento, è inoltre alquanto spiacevole l’abitudine di questo governo di ritoccare stime deliberatamente fatte in maniera pessimistica, in modo da sfruttare l’”effetto tesoretto”: così facendo non si dà un quadro attendibile di come le cose stanno davvero. Il governo sta approntando alcuni “pacchetti” per accattivarsi interlocutori differenti: pacchetto IRES per le imprese (che, pur avendo alcuni elementi condivisibili come la razionalizzazione dell’imposizione sui redditi, finirebbe per auto-neutralizzarsi per colpa dell’allargamento di base imponibile), due pacchetti “famiglia” (quello Bindi e quello del governo), pacchetto “welfare” (finanziato dall’aumento contributivo a carico dei lavoratori parasubordinati).
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