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Sussidarietà e Riforme Costituzionali - Giulio Tremonti

Nel tempo presente, nell’Europa continentale, la questione politica fondamentale è la questione del potere. I popoli domandano, i governi non hanno potere sufficiente per rispondere. L’asimmetria tra la domanda e l’offerta erode progressivamente le basi della politica, apre spazio all’antipolitica.

Per mezzo secolo, dalla caduta dei regimi totalitari con la seconda guerra mondiale ad oggi, la questione del potere è stata trattata in senso “negativo”: come contenere il potere dei governi, come eliminare il rischio di eccessi di potere. La Costituzione della Repubblica italiana ne è l’emblema. Nel tempo presente la questione del potere si pone in termini esattamente rovesciati. La questione del potere, la questione del rapporto tra potere e democrazia, permane ma in termini rovesciati: il problema non è più quello di conservare la democrazia controllando il potere del governo, ma all’opposto quello di consolidarlo, accrescendo il potere dei governi, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra intensità delle domande e capacità di soddisfarle. In questi termini si pone oggi il problema del potere dei governi: non si pone in termini autocratici, ma all’opposto democratici. Nell’Europa continentale l’intensificazione del potere dei governi procede su due forme: orizzontale e verticale. La forma “orizzontale” è quella delle grandi coalizioni. La formula delle grandi coalizioni da eccezione sta diventando la regola; da eccezione tedesca sta diventando formula politica diffusa e ad espansione crescente: dalla Germania all’Austria, dal Lussemburgo all’Olanda, ecc.La grande coalizione è cosa molto diversa da quello che da noi si chiama qualche volta “grande centro” (che poi in realtà è tutto fuorché grande, perché risponde ad un oscuro disegno che oscilla tra l’elitario e il velleitario). La coalizione è grande perché si basa sull’accordo tra grandi forze politiche, tra grandi forze politiche capaci per questo di mobilitare il consenso di grandi masse popolari. I grandi partiti conservano la loro identità – popolare o socialista – ma concordano una “agenda comune”. Una agenda che per un catalogo determinato di cose da fare e per un tempo determinato costituisce un comune programma di azione. La forma “verticale” è quella che si sta costruendo in Francia. La figura costituzionale del Presidente francese cumula una grandissima quantità di potere, paragonabile ai poteri del presidente della Repubblica italiana sommati a quelli del capo del Governo italiano. Se è permessa un’immagine, le prerogative che ha Napolitano più quelle che aveva Berlusconi. Alle elezioni presidenziali Nicolas Sarkozy ha vinto le elezioni con il 53%. Tuttavia sente che tutto questo non basta. Una “impopolare” proposta di riforma in materia di lavoro lo porterebbe sotto nei sondaggi e dunque sotto nel potere. E’ per questo che si sta pianificando il passaggio dalla Quinta alla Sesta repubblica, intesa questa come sistema costituzionale capace di reggere la sfida della modernità. Rispetto a questo disegno il coinvolgimento in vari ruoli di varie personalità è più folkloristico che strategico. In Italia è l’opposto. Il potere non si intensifica – orizzontalmente o verticalmente – ma si è prima demoltiplicato e poi disintegrato. Nei termini che seguono. La demoltiplicazione del potere è l’effetto della democrazia del Sessantotto, della democrazia degli aggettivi, della democrazia permanente, della democrazia dei sindacati universali e dei comitati territoriali. Inoltre, una quota importante del quadro residuo del potere si è inceppata con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. L’Italia è l’unico Paese dove sono state regionalizzate materie come “grandi reti di trasporto e di navigazione” e “distribuzione nazionale dell’energia”. Lo Stato in queste materie può dettare solo principi fondamentali. La Corte costituzionale ha dovuto fare acrobazie argomentative per salvare la “legge obiettivo”, che rischiava di saltare per questo motivo. Voluta e votata dal centro sinistra, la riforma del Titolo V svuota il “centralismo” senza creare il “federalismo”. Non si dimentichi che la bozza di riforma costituzionale approvata a partire dal 2003, contro cui la sinistra si è scagliata, centralizzava molte delle funzioni impropriamente trasferite alle regioni. La disintegrazione del potere ha subito una accelerazione crescente con il Governo Prodi, che non ha vinto ma solo pareggiato le elezioni, che nel solo fatto di esistere manifesta il suo avventurismo. E’ un governo che si è presentato agli elettori mettendo nel suo programma un elenco di gravi e grandi problemi e pretende di risolverli con minimi numeri: più ventiquattromila voti alla Camera, meno duecentomila al Senato. E’ un governo che sopravvive solo perché non decide. Dal sondaggio della Fondazione per la Sussidiarietà emerge una domanda fortissima di uscire da questa anomalia. Non basta e non sarebbe corretto identificare nella debolezza del Governo il principio e la fine dell’empasse da cui gli italiani vogliono uscire. Quali formule di soluzione coerenti con il risultato del sondaggio? Essenzialmente due. Una riforma costituzionale – non solo elettorale – che replicando lo schema del 2003-2006 da una parte concentri il potere del governo, dall’altra parte organizzi il federalismo. L’apertura di spazi crescenti alla democrazia diretta, alla partecipazione dei cittadini alla vita civile e sociale, non solo politica. La politica può essere cattiva o buona, odiata o amata. E’ cattiva la politica che ignora la realtà o che pretende di modificare la realtà convinta di saperne di più. E’ buona la politica che parte dalla realtà e l’asseconda, la favorisce nelle sue tendenze positive. E’ arrivato il momento storico di andare oltre il principio no taxation without representation: non è più sufficiente dare ai cittadini il diritto di votare, è necessario dare loro anche il potere di decidere direttamente sulla destinazione meritevole e responsabile del denaro che danno pagando le tasse. In questi termini il caso del cinque per mille per Non Profit, ricerca scientifica, ecc., introdotto in forma sperimentale nel 2005-2006 e scelto da più di sedici milioni di italiani è assolutamente indicativo e positivo. E’ questa la strada da percorrere. Essa indica l’opposto di quello che vuol far credere l’antipolitica. Non è vero che gli italiani non vogliono pagare le tasse, non è vero che gli italiani non vogliono partecipare alla vita sociale, è vero l’opposto. E’ questa la ragione per cui va sviluppata la meccanica del cinque per mille, una meccanica che va dal basso verso l’alto, dalla società verso lo Stato. Non per erodere le basi della politica, all’opposto per conservare le basi della democrazia.

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